TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – L’eclatante caso della positività di Maria Sharapova ha riportato d’attualità le polemiche legate alle procedure antidoping nel tennis. Ci sembra interessante dunque proporre, a distanza di oltre dieci anni dalla realizzazione, buona parte dell’intervista al dottor Dario D’Ottavio, indiscussa autorità nella lotta alle sostanze proibite. Il pezzo originale fu pubblicato su Matchpoint Tennis Magazine n. 20/2005.
Il dottor Dario D’Ottavio è una vera e propria istituzione nella lotta alle sostanze proibite. Chimico all’ospedale San Camillo di Roma, Coordinatore del CNC per la lotta al doping, ha fatto parte, fra l’altro, della commissione antidoping del Ministero della Salute. È stato lui a istruire la bellezza di 183 carabinieri per il famoso blitz al Giro d’Italia 2001, dal quale la credibilità del ciclismo uscì con le ossa rotte. Da lui ci siamo fatti spiegare alcuni aspetti di queste pratiche purtroppo sempre più diffuse nel mondo dello sport.
Dottore, fino a qualche tempo fa si diceva che il doping fosse poco applicabile al tennis: oggi, però, specie quello su terra rossa è fondato sulla corsa e sulla resistenza. Le cose sono mutate?
«Mi rifaccio a quanto ho sentito dire di recente in tv: il tennis è cambiato, prima la tecnica era l’aspetto prevalente, attualmente è la preparazione atletica ad avere la maggiore importanza e su questa il doping ha una grossa influenza. È doveroso ricordare, per avere una visione globale del fenomeno, che il doping non viene praticato soltanto all’atto della gara, ipotesi questa del tutto aleatoria in quanto l’atleta sa bene di poter risultare poi positivo ai controlli. La maggior parte del doping si pratica durante la fase di allenamento, per sopportare maggiori carichi di lavoro, aumentare la muscolatura e la capacità di resistenza. Inoltre bisogna categoricamente precisare che se un atleta risulta negativo ai test antidoping non si ha la certezza che non abbia effettuato pratiche di doping».
Che tipo di doping può essere attuato da chi pratica il tennis?
«Contrariamente a quanto si pensi, entrambi i tipi classici, ossia quello per aumentare la resistenza e quello per aumentare la potenza. Riguardo il primo caso, la pratica del doping si effettua in quanto il recupero dipende dalla massa eritrocitaria: più globuli rossi ci sono, più resistenza si ha. Per questo è molto diffuso nel mezzofondo, nella maratona, nel ciclismo. Anche nel tennis, però, il recuperare più in fretta è un vantaggio non indifferente dal punto di vista della prestazione. Quando un giocatore si trova in uno stato ipossico (debito di ossigeno) per uno scambio molto accelerato, se ha una grossa massa eritrocitaria l’ossigeno circola più rapidamente e la sensazione di fatica scompare in tempi più brevi. Non aiuta solo al quinto set, ma anche prima. Relativamente alla potenza, gli anabolizzanti aumentano la massa muscolare e la forza, ma presentano il difetto di poter essere rilevati. Invece l’ormone della crescita (GH). che scompare in appena otto minuti e non si riesce a determinare, presumo sia una delle sostanze più utilizzate. Alle Olimpiadi di Atene hanno presentato un nuovo metodo per rilevarlo, ma, c’era da aspettarselo, non è stato trovato nessun caso positivo».
Quali sono altri generi di doping?
«L’uso di sostanze stimolanti, come anfetamine, ecstasy, cocaina, eccetera. Ma sono un’arma a doppio taglio: per poter avere effetto devono essere prese immediatamente prima della gara, quindi, se è previsto un controllo, si risulta positivi. Nei periodi di allenamento e pre-gara, però, possono essere utilizzate per aumentare i carichi di lavoro. L’organismo si adatta a carichi di stress nettamente superiori a quelli che riuscirebbe a sopportare in condizioni normali. Da segnalare inoltre l’aumento delle riserve di zucchero: un atleta può pure disporre di molto ossigeno, ma, se non ha nulla da bruciare, gli serve a poco. Quindi, magari si carica con una dieta a base di carboidrati, poi assume insulina, un ormone somministrato ai diabetici, che aumenta le riserve di glicogeno, uno zucchero pronto per essere utilizzato. L’insulina, fra l’altro, non si trova ai test».
Il doping ha contribuito a cambiare di molto le figure degli sportivi di spicco…
«Confrontando il fisico degli atleti degli anni Sessanta con quelli attuali, in alcuni casi rimango scettico e perplesso. Mi chiedo se le metodiche d’allenamento moderne siano sufficienti a giustificare la diversità di conformazione fisica. L’evidente abuso di sostanze anabolizzanti ha determinato l’istituzione dei controlli anti-doping ai Giochi Olimpici di Tokyo 1964. Prima lo sport era sostanzialmente pulito, se si escludono alcune anfetamine, come la simpamina, sostanza di cui uno dei più grandi campioni del ciclismo ammise l’utilizzo. A convincermi poco sono anche le tante “meteore”, che appaiono e poi rapidamente scompaiono dai grandi palcoscenici, spesso per “incidenti”. Ad esempio, si rompono i tendini e questo può essere in stretta relazione con un grosso uso e consumo di anabolizzanti: la massa muscolare aumenta a tal punto che il tendine, di consistenza sempre uguale e meno elastico, non riesce più a sostenerne lo sollecitazioni».
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Cosa fare, dunque, per combattere al meglio la battaglia contro il doping?
«Prima di tutto occorrono maggiori controlli e strategie diverse da quelle attualmente utilizzate, ovviamente non esplicitabili in questa intervista, è mia opinione comunque che nel tennis i controlli siano più blandi rispetto ad altri sport. È chiaro che l’ottimizzazione della lotta al doping è un compito che spetta alla federazione, alla CVD e alle Organizzazioni Internazionali (CIO, WADA). Bisogna poi ricordare che il doping non è costituito solo dall’uso di sostanze vietate ma, dal punto di vista morale, anche da usi eccessivi di quelle legali, come il ferro, le vitamine, la creatina etc. Ovviamente il problema va visto e affrontato non soltanto dal punto di vista sportivo, che a mio avviso forse rappresenta il problema minore, ma in termini di tutela della salute degli atleti (in particolare dei giovani). L’abuso di queste sostanze può produrre effetti devastanti per l’organismo».
da Matchpoint Tennis Magazine n. 20/2005 (28 ottobre – 10 novembre)
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