TENNIS – Dal nostro inviato a Melbourne Diego Barbiani
MELBOURNE. E’ sembrata una mattanza, più che un incontro di tennis.
Serena Williams approda per la settima volta in finale all’Australian Open dopo aver demolito Agnieszka Radwanska 6-0 6-4 in un’ora e cinque minuti di gioco.
Siamo sempre lì, a battere gli stessi chiodi, a ripetere gli stessi problemi e le difficoltà della polacca nell’affrontare la statunitense: manca la potenza. Banale, ma sufficiente a creare un mis-match da incubo per la n.4 del mondo, che può relativamente consolarsi con la soddisfazione di essere nuovamente tra le prime tre del ranking WTA. E stiamo pur sempre parlando di una tennista, Serena, che dopo aver perso la semifinale contro Roberta Vinci a New York ha deciso di staccare col tennis fino a questo Slam, rimediando tra l’altro solo figuracce in esibizioni e preoccupando tantissimi appassionati per le condizioni di un ginocchio fin troppo dolorante.
Eppure, analizzando bene quegli scampoli di partita che non siano stati servizi vincenti o schemi servizio-dritto di Serena, le pecche nella partita ci sono: gli spostamenti. Perché nella perfezione vogliamo trovare il pelo nell’uovo e dare un senso ad un torneo che, con l’uscita di Victoria Azarenka ieri sembra definitivamente segnato. Ecco dunque che si scoprono delle piccole, piccolissime crepe. Quando è riuscita, Radwanska ha aperto il campo da una parte e chiuso il punto dall’altra. Nel secondo set ha recuperato da 1-3 a 4-3 anche e sorprattutto grazie a questo, che qualche piccolo segno di nervosismo nella sua avversaria, alla fine, lo aveva creato.
Serena arrivava sempre male su queste palle, col passo pesante e perdendo progressivamente campo. Il compito, però, si componeva di tre elementi importanti: un buon servizio che impedisce a Serena Williams di cominciare lo scambio con una risposta-missile, avere la possibilità di piazzare il colpo in un punto ottimo del campo avversario così da non ricevere una palla troppo potente, rigiocare dall’altra parte. Incatenare questa serie per tutto il match è impossibile. Si parla di virgole, briciole, anche perché lei stessa può tirar fuori dal cilindro il recupero vincente o riposizionarsi coi piedi in una frazione di secondo e giocare il vincente. Brava, bravissima lei, quando ci riusciva, a nascondere quello che ancora non funziona al 100% del suo gioco. Per il resto, davvero poco da dire.
Radwanska, dopo il primo game perso al servizio, aveva già lo sguardo rassegnato. Sette volte giunta in finale, con oggi, sei vittorie nel passato. La percentuale è di quelle da far cadere le braccia all’avversaria, che tra l’altro sarà alla prima apparizione all’ultimo atto di uno Slam. Chi tra Angelique Kerber e Johanna Konta sfiderà sabato sera la regina del tennis femminile, avrà vita durissima, se non impossibile.
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