NEW YORK. Doveva essere una partita a senso unico per l’unico risultato possibile e immaginabile. Non è stata affatto una partita a senso unico ma il risultato è stato l’unico possibile e immaginabile. Nessuna sorpresa: il copione del “Sister Act” numero 27 tra Serena e Venus Williams è andato come doveva andare. Per le statistiche: 6-2 1-6 6-3 in un’ora e 40 minuti.
La sorellina in semifinale, la sorellona che da giovedì si siederà all’angolo a tifare quello che tutti sperano dall’inizio e che sembra ormai semplicemente inevitabile. Quei quattro tornei dello slam vinti nello stesso anno dalla stessa tennista, leggasi Grande Slam. Fa un certo piacere e riempie anche un po’ d’orgoglio che ci sarà Roberta Vinci, la nostra Roberta Vinci, sulla strada di una cosa che manca al tennis dal 1988, da Steffi Graf. La pugliese ha davvero poche poche poche speranze di invertire una rotta che appare quasi inevitabile, ma tant’è: ci sarà, e non è poco.
L’attesa per il “Sister’s Act” era comunque tantissima, anche se tutti sapevano come sarebbe andata a finire. Nessuno, nemmeno il più fantasioso tra i giornalisti o il più accanito dei tifosi di Venus, poteva immaginarsi un finale diverso, anche se ad un certo punto leggasi secondo set, vinto da Venere, qualcuno aveva iniziato a crederci, forse spinto più dalla pia illusione che da certezze. E anche Serena si è trovata spiazzata, o almeno sembra, dalla violenza con cui la sorellona sparava servizi e rovesci. Non se l’aspettava, forse. La faccia, in certi momenti, era più un “oh, davvero?”. Poi la reazione, violentissima, di Serena, con Venus che è calata alla distanza. L’abbraccio finale tra le due, stupendo: una liberazione, per entrambe.
E’ stata comunque la tipica partita che esula dall’aspetto tecnico, non affatto secondario (è stata una bella partita, molto in certi tratti) perchè dietro ogni singolo colpo c’era la storia delle due più grandi giocatrici degli ultimi 20 anni, c’era il racconto di una vita passata insieme. Venus la sorella maggiore che ha aperto la strada a Serena, Venus che ha fatto quasi da madre, a Serena. Venus che ha fatto scudo a Serena nei momenti più bui, che ha sempre coperto e protetto la sorellina maggiore, anche quando non ce n’era bisogno. Papà Richard lo sapeva che Serena era più forte, e lo diceva: “Venus vincerà prima, certo, ma la più forte è la più piccola”. Vero, indubbiamente vero, ma all’Artur Ashe, di fronte a una marea di celebrità e con una marea di gente fuori a guardare il maxi schermo, non c’è stata una partita, c’è stato un lungo lungo abbraccio. Immagini che passavano violente proprio come i servizi e i dritti di Serena: le improbabili treccine, le urla, la potenza di fuoco nuova per il tennis, gli appuntamenti fissi tra le due nelle finali slam. E tanto, tanto altro ancora. Abbraccio, bacio, e poi un “Vai Serena, ora tocca a te”. Manca poco, pochissimo e vedremo se la storia, questa storia, avrà un “Happy Ending”.
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