TENNIS
WIMBLEDON – Dopo aver visto la finale di Wimbledon mi è sorto un dubbio, probabilmente non vero, non plausibile, ma pur sempre un dubbio. Ovvero: Roger Federer, ultimamente, non ha l’istinto del grande campione nelle finali che contano, ovvero quelle dello slam.
Prima di svenire, chi scrive lo sa benissimo che si tratta del più vincente giocatore della storia del tennis, che ha conquistato più titoli di chiunque altro in ogni parte del mondo e che nessuno ha conquistato più slam di lui. Dunque, a ben vedere, il dubbio sarebbe quello che è, cioè stupido. Per questo forse, prima dell’esecuzione pubblica, la tesi, o per meglio dire il dubbio, meriterebbe una spiegazione e meriterebbe anche di essere letta, prima di essere derubricata come eresia.
Senza dimenticare gli enormi, enormi, enormi meriti di Novak Djokovic sia nella finale di oggi sia in quella dello scorso anno (soprattutto in quella del 2014, a mio modesto avviso), non ho potuto far a meno che notare che Federer vagava per il campo, specie in questo 2015, come uno che non ci crede. Guardava l’avversario come Rocky guadava Clubber Lang nel loro primo incontro, quello stravinto dal pubblico di colore. Può sembrare un po’ esagerato, ma tant’è. Federer ha un atteggiamento fisico di quello che sa che non puo’ vincere se l’altro, Djokovic o Nadal che sia, gioca bene. Ha lo sguardo insomma di uno che ha paura. “Ma contro Murray ha giocato da Dio”, direte voi. Verissimo, ma non era una finale. E, per l’ennesima volta, è stato dimostrato che lo scozzese non è Nole e che comunque una semifinale ha un peso specifico molto, molto differente dalla finale. Questa finale mi ha ricordato moltissimo quella del Roland Garros del 2011, quella arrivata dopo la clamorosa vittoria di Roger in semi contro l’allora imbattibile Djokovic formato “RoboNole”. Federer in finale si sciolse, letteralmente, contro Nadal, dopo essere andato avanti 5-2 nel primo set. Anche qui lo svizzero era andato avanti 4-2 e servizio nel primo set. Poi, puff: tutto sprecato. Anche per meriti del serbo, d’accordo, ma fino a quel contro break a giocare meglio non era stato certamente il serbo.
Federer ha fatto quello che ha fatto molto, molto spesso nelle finali slam da quando non è più l’invincibile giocatore stratosferico che era una spanna sopra gli altri: ha perso. Negli atti conclusivi dei Majors dove il borsino era in parità o in leggero svantaggio, non ha vinto. Ha anche perso da strafavorito, come contro Del Potro nel 2009 a New York. Poi, ha perso con Djokovic 2 volte a Wimbledon (a Wimbledon: non in Australia o a New York), ha perso nel 2011 contro Nadal al Roland Garros. L’unico slam vinto è Wimbledon 2012, contro Murray, dove partiva favorito e come sottolineato, Murray non è i due sopracitati. Stava pure perdendo nel 2007, contro Nadal, a Londra, ma si salvò al quinto set. Probalmente ha perso anche l’abitudine a queste partite. Una finale slam nel 2012, nessuna nel 2013, una nel 2014 e una nel 2015. Fanno tre negli ultimi 19 slam. Dal 2004 al 2010 praticamente era sempre in finale.
“Eh, ma ha vinto 17 slam”. Certo, è il più grande della storia, il più geniale e talentuoso giocatore che sia mai sceso su un campo da tennis, ci mancherebbe altro. Con quel bagaglio di sovrumana genialità abbinata alla sua serietà, alla sua intelligente e alla sua dedizione, non poteva che diventare il migliore. Ma è eresia dire che pure lui, anche lui, a volte, si fa prendere dal braccino e non dà il meglio di sé? Prima la differenza con gli altri era troppa, quindi era talmente sicuro di sé, talmente padrone dei propri mezzi talmente consapevole della sua grandezza che bastava a fargli passare qualsiasi fisima. Ma ora, col divario praticamente azzerato (6-7 anni si fanno sentire, eccome), quando si tratta di battagliare in una finale, Federer perde praticamente sempre. Bestemmia? Eresia? Possibile, ma i dati sono dati, ma non si può sempre e solo dire “grazie Roger, bravo Roger, ti amiamo per tutto quello che hai fatto”. E’ il numero due del mondo, non un relitto che è lì per fortuna. E sinceramente, per un suo tifoso, assistere ad una partita come quella di oggi dopo aver visto cosa sia capace di fare soltanto 48 ore prima, non deve essere stato esattamente facile.
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