TENNIS – DA WIMBLEDON, RICCARDO NUZIALE – Sara Errani torna a vincere una partita ai Championships dopo tre anni, superata 62 57 61 Francesca Schiavone in un derby che ha seguito l’emotività della sconfitta e la solidità della vincitrice.
Non è vero che ogni campo ha le stesse dimensioni. Chiedere a chi ha affrontato per un decennio Rafa Nadal sullo Chatrier e i suoi spazi infiniti, tanto da gonfiare oltremodo l’aura d’imbattibilità dello spagnolo. Così un campo periferico può dare tutt’altro sapore a un match. Ne da un’altra entità e identità, un’altra dimensione, un altro respiro. Addirittura può determinarne il risultato.
Sara Errani ha poi confermato in conferenza stampa l’ovvio, della sensazione allo stesso tempo destabilizzante ed eccitante che uno scontro tra sorelle di bandiera dona. Un evento di cui il campo 17 non s’è fatto forse palcoscenico degno, così piccolo, dimesso, vittima dei rumori che circondano l’All England Club in festa del primo giorno.
Ma se da una parte il nostro occhio partigiano ci porta a gridare dolore nel vedere tre finali Slam in un campo teatro del caos (se mai a Wimbledon può farvi visita), dall’altra va ricordato che le nostre due perle, nell’ultimo biennio, ai Championships sono andate a baciare il gesso: quattro primi turni. Comprensibile quindi la decisione di relegarle in un campo molto minore.
Ha vinto la giocatrice che sta meglio, che è più in forma, che ha più confidenza con la vittoria, nonostante un cronico disamore per la superficie verde (mai oltre il terzo turno qui) e una Francesca Schiavone che ha dimostrato ancora una volta come sia in grado di giocare un tennis a rischio estinzione.
Ad omaggiare le due campionesse oggi un sole caldo e lucente come non troppo spesso si vede da queste parti, un sole che ha forse favorito Sara, dato che il manto erboso si è rivelato più generoso nei confronti dei suoi colpi in top e – come ha ammesso lei stessa – perché le ha sottratto il complesso degli appoggi, che nei canonici giorni di erba umida diventano un inquietante punto di domanda (castrando così la sua forza principale, l’abilità di coprire il campo).
Un match che i più banali – ci accodiamo – chiamerebbero confronto tra stili e così si è rivelato, a tratti anche sfizioso, ma troppo condizionato dalla fallosità della Schiavone (60 gli errori gratuiti contati a fine partita), capace di giocare stop volley che hanno chiamato madre l’erba delle erbe, ma incapace di uscir viva dalla diagonale destra, quella del dritto, troppo controproducente al servizio (ben 10 doppi falli e solo il 43% di prime) e, in linea generale, incapace di esprimere un piano di gioco costantemente efficace.
Inutile, se non per dare illusione di nuove emozioni parigine, la rimonta nel secondo set, quando la Schiavone ha impedito che il tutto finisse con un mestissimo 62 64. Per una volta la Errani si è sentita quasi a suo agio sull’erba, quell’erba che la stanca molto più rispetto alla terra (“non mentalmente, ma proprio fisicamente. Sulla terra posso scivolare, mentre qui devo stare attenta a come mettere i piedi ogni volta, alla lunga mi logora. Anche settimana scorsa, a Eastbourne, non mi sono sentita le gambe per giorni!”).
Al secondo turno non ci sarà il fratricidio più crudele, quello contro Roberta Vinci, duramente sconfitta da Aleksandra Krunic. E quindi non sapremo se davvero, come ha detto durante l’intervista post partita, quella partita non sarebbe stata così tanto diversa da un punto di vista psicologico rispetto alle altre. Il dubbio sta lì e non si evolverà in una curiosità dal vago sapore sadico.
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