TENNIS – Dal nostro inviato a Melbourne Daniele Azzolini
Ho appena finito di ringraziare Fognini e Bolelli, in conferenza stampa, l’ho fatto a modo mio, con una domanda, prendendo le mosse da quanto ho visto, fatto e vissuto in questi anni di mestiere.
Sono convinto, lì per lì, di averli persino sorpresi, forse di averli costretti a una riflessione ulteriore su questa loro finale di doppio, che li ha visti abbracciati sul campo in una stretta vigorosa, dalla quale traspariva tutta l’amicizia che i due hanno finito per accumulare nel loro rapporto, da quando hanno cominciato a giocare insieme.
Scrivo dal 1976, gli ho detto più o meno testualmente, scusandomi per il preambolo che mi avrebbe condotto alla domanda vera e propria: sono passati trentanove anni e cento tornei dello Slam che ho seguito da inviato. Grazie a voi potrò assistere alla seconda finale di un major con una presenza italiana, la prima è stata quella di Adriano Panatta a Parigi. Mi chiedo se avvertiate anche voi questa improvvisa vicinanza con la storia del nostro sport, una storia solo italiana in questo caso, ma importante. Se un brivido particolare non sia corso lungo le vostre schiene, quando avete ottenuto il punto che vi ha introdotto all’atto conclusivo del torneo.
Forse Fabio e Simone non ci avevano pensato, se non distrattamente. Ed è meglio così. Forse… Ma credo di sì. Hanno preso atto della vittoria, che desideravano sopra ogni altra cosa, e si sono sbattuti non poco per ottenerla. Ciò li ha resi felici, e tesi per quanto deve ancora avvenire. Ma non li ha introdotti subito a valutazioni più ampie, e sono stato contento di averli indotti a riflettere sull’importanza che può assumere anche una finale di doppio. Semplicemente per il fatto che è “comunque” una finale, dunque una verifica delle proprie capacità, una prova alta, definitiva, oltre il quale c’è solo il premio più desiderato, quello che porterà i loro nomi – se saranno bravi, com’è doveroso augurarsi – nell’albo d’oro del torneo. Una finale, spero, che li condurrà per mano a un rapporto diverso e finalmente più completo e maturo con il tennis, con il loro mestiere. Avvertiranno in modo ancora più stringente, Fabio e Simone, il bisogno di ribadire da qui in avanti la qualità del loro gioco, di affermare le loro capacità tecniche e umane.
«Siamo pronti a fare la storia», hanno risposto entrambi, dopo averci pensato.
Non mi entusiasmo facilmente… Nessuno che attenda da 39 anni un italiano in finale potrebbe esaltarsi facilmente. Credo però che se Fabio e Simone sapranno superare il prossimo ostacolo, i francesi Mahut ed Herbert, entreranno in una dimensione tennistica più alta. Dovranno gestirla al meglio. Ma si divertiranno anche di più. E noi (finalmente) con loro.
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