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US Open: un Fognini troppo brutto per essere vero

Dal nostro inviato a New York 

Troppo brutto, per essere vero. Davvero troppo, ma troppo brutto. Proviamo ad aggrapparci alla scaramanzia, ad un numero, il 17, quello di un campo lontano, lontanissimo dai nostri occhi e dalla nostra anca un po’ malconcia. Ma il discorso non regge, non regge affatto. Fognini, quello di questa sera a Flushing Meadows, è stato letteralmente spazzato via dallo statunitense Ram, che da queste parti non aveva mai passato un turno e che ha aspettato, a questo punto possiamo dirlo in tutta onestà, la peggior serata del nostro numero uno, per godere di questa emozione.

E’ finita in malo modo, con il “Fogna” nazionale a raccogliere la miseria di cinque giochi (6/1 6/2 6/2 il punteggio finale) in un’ora e ventisette minuti di gioco. Il numero sedici del tabellone, l’uomo che ha dipinto l’estate come il migliore dei pittori contemporanei, non è mai sceso in campo. Infastidito dal ritardo di oltre cinque ore, complice la pioggia e da qualcosa che soltanto lui conosce. Ci aggrappiamo anche a questo, proviamo quantomeno a farlo, ma senza riuscirci, perché, sinceramente, è stato imbarazzante come Fognini si sia concesso al suo avversario, senza opporre la minima resistenza, senza provare ad inventarsi qualcosa. Una “campagna” americana da dimenticare in fretta, molto in fretta, perché dopo le vittorie di Stoccarda e Amburgo e la finale di Umago, la bocca a qualcosa di buono l’avevamo fatta un po’ tutti. Poi, però, sono arrivati un secondo turno a Montreal e due primi turni, a Cincinnati e qui a Fushing Meadows, L’ultima contro il 128 del mondo. Voltiamo pagina, che è meglio. 

Visibilmente deluso, l’azzurro in conferenza stampa ha spiegato: “Quando perdi in questo modo, c’è poco da dire e da parlare. Non mi riusciva di far nulla. Ho provato e riprovato tante cose, niente da fare”. Brutto, troppo brutto per essere vero il Fognini di questa sera, anche e soprattutto per sua stessa ammissione. “Non ne faccio un dramma, ma dispiace. Anche perché quando vai in campo, pensi sempre di poter lottare dalla prima all’ultima palla ed invece, questa sera, sono rimasto negli spogliatoi a pensare a quello che avrei dovuto fare, a come avrei dovuto giocare. Lui, per carità, su questi campi gioca bene, ma oggi gli ho facilitato il compito”. Peccato, perché dopo la splendida estate, è arrivata una “campagna americana” a dir poco devastante. “Sì, è vero, ma non starei qui a farne un dramma. Ho giocato male, punto. Di più non posso dirvi, anche perché non c’è da dire molto di una partita che ha avuto un corso rapido, che è durata un’ora e ventisette minuti, che non è stata mai giocata, almeno dal sottoscritto”. 

Gianluca Atlante

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