C’è del nuovo, laggiù, dove il mondo capita di guardarlo dal basso in alto. C’è un Djokovic lamentoso, adagiato su espressioni musicali inusitate, nelle quali trionfano i movimenti lenti e sospirosi. Tempo andante accorato per un mood dolente con moto. Colpisce perché in dieci finali australiane, tutte portate a casa, non lo conoscevo ancora in una versione così malinconica alla vigilia dello strappo finale.
Gli argomenti di giornata vanno dal caldo che obbliga a vestirsi come una granita, all’aggressione continua di Fritz che quasi sembrava avercela con lui, dalle ore trascorse sul campo, che ormai superano in abbondanza le 14 e sono troppe per i suoi gusti, per finire con il pubblico che trova sempre il modo di amare di più i suoi avversari. Che volete farci? Sembra uno dei dialoghi di Brancaleone con la sua stramba armata. «Un sol grido, un solo idioma… Scapòma, scapòma!».
Sinner è dispensato dal tenerle in conto, le lamentazioni di BrancaNole. Potrebbero essere tattica, uno di quegli “sgambetti del re” che il serbo sa pianificare così bene, e alterna con altre trovate da attore consumato, un tempo erano gli infortuni che però non gli impedivano di scattare come un centometrista, poi venne il tempo dei “toilet break”, quando spariva per tornare in campo risanato nello spirito. La fortuna di chi viene sorteggiato nella parte alta del tabellone consiste in un doppio turno di riposo, dopo i quarti di finale.
Ventiquattro ore in più da trascorrere tra le lenzuola mentre Alcaraz e Zverev, Medvedev e Hurkacz saranno in campo a fare a botte. Che cosa pretendere di più da uno Slam? Gli altri della beneamata categoria hanno regolamenti forse più logici degli Australian Open. Dispongono tutti gli ottavi al lunedì e programmano sempre sui due campi principali, in modo che tutto si disponga in termini paritari. Mercoledì i quarti, venerdì le semifinali, e così via. Ma al di là di queste discussioni, che fanno parte della paccottiglia del torneo, questa edizione dello Slam ha portato avanti i primi quattro del seeding, ed è forte la possibilità che le semifinali li porranno di fronte. La classifica, di fatto, ha retto agli scossoni dati dagli inseguitori, che si sono alternati ai primi quattro posti nei mesi addietro. E con l’ingresso in scena di Sinner nei mesi conclusivi della scorsa stagione, sembra finalmente aver trovato una quadratura.
Ribadita anche dai punteggi, che vedono Sinner, quarto del ranking, ben al riparo dai prossimi assalti che vorranno portargli Rublev, Zverev o magari lo stesso Rune, unico tra i primi dieci ad aver fallito in questo primo Slam. L’indicazione da tenere in considerazione è che i primi quattro, oggi, appaiono inattaccabili. E forse se la giocheranno tra loro nel proseguo della stagione.
Lieto che Sinner appartenga al gruppo degli ottimati. Più lo guardo, più mi convinco che un tennista della sua caratura, mancando da così tanti anni, sia impegnativo anche per noi appassionati, disabituati come siamo ai numeri che già sta collezionando. Il rischio è di lasciarsi contaminare dal cieco entusiasmo di chi pretende sempre di più. Di buono c’è che lui mostra, giorno per giorno, di saper tenere i piedi in terra, o sul cemento (ma va bene lo stesso). Sa che cosa vuole, è paziente il giusto, e lavora con scrupolo per ottenere gli obiettivi prefissati. Di primo acchito, direi che lasciarlo fare, senza intralciarlo, senza porre ogni momento nuovi traguardi da tagliare, sia l’atteggiamento migliore per sostenerlo.
Intanto, si tenga stretta la bella rincorsa che l’ha portato all’appuntamento con Djokovic, atteso dagli appassionati come un cioccolatino allo cherry prima di andare a nanna. Le imprese dell’ultimo periodo sono rimbalzate fin qua, e c’è grande curiosità intorno alla sfida di venerdì, che sembra valere assai più per il vecchio campione. Una terza sconfitta, per di più nel torneo dove non ha mai perso una semifinale, potrebbe allargare i dubbi che già si fanno sentire.Il match con Rublev non ha aggiunto molto a ciò che si sapeva sui due. Sinner ha offerto la parte migliore del suo tennis quando il russo l’ha sollecitato. Il tie break del secondo set la dice lunga sullo stato delle cose. La fuga di Rublev, fino al 5-1, si è infranta quando Sinner ha replicato aumentando il voltaggio delle risposte e degli attacchi.
Qualcosa di simile si era vista sui famosi tre match point di Djokovic a Malaga. E alzare il livello di gioco in simili frangenti fa parte del corredo di un campione vero. Il resto è venuto da solo, malgrado Jannik abbia ancora una volta tenuto bassina la percentuale del servizio. Un problema all’addome se n’è andato così com’era venuto, e i break realizzati sono stati due su sette, mentre Rublev ha avuto otto palle break (forse un po’ troppe) ma non ne ha trasformate alcuna (28 in totale le palle break concesse nel torneo da Sinner, 26 quelle salvate). Restano i cinque turni senza perdere un set, la seconda semifinale raggiunta in uno Slam (come Barazzutti), mentre Panatta e Berrettini sono a quota tre (22 le semi in azzurro da che tennis è tennis). Ed è il sesto anno, negli ultimi sette (l’unico privo di squilli è stato lo strampalato 2020 della Covid Season), in cui un italiano raggiunge una semifinale Slam. E chissà che quest’anno non ne vengano fuori anche altre.
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