Se l’Europa sta provando a trovare una stabilità dopo la grande ondata causata dal covid-19, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico la pessima gestione del presidente degli Stati Uniti Donald Tump sta distruggendo un paese ormai più che mai diviso sia nella gestione del virus che nelle forti proteste che da un mese stanno coinvolgendo tutti gli stati dall’Alaska alla Florida.
La grave mancanza di una leadership e un continuo scaricare la colpa ha causato una nuova impennata di casi e nell’ultima settimana la situazione sanitaria di molti stati è completamente deteriorata. Florida, Texas, Arizona, Idaho e California sono gli stati dove attualmente si sta registrando la maggiore impennata di casi a livello percentuale e soprattutto la Florida crea enorme preoccupazione perché in 4 giorni si sono registrati più di 30.000 nuovi infetti.
In una tabella mostrata in tv dalla CNN si vede come dei 51 stati (molto probabilmente diventeranno 51 visto che è stato dato il primo “ok” al Distretto di Columbia) soltanto 12 abbiamo un trend stabile o positivo rispetto alla settimana precedente, mentre degli altri 39 in peggioramento ce ne sono almeno una decina dove il valore si è impennato di oltre il 50%. New York, lo stato che ha sofferto le perdite e le complicanze maggiori, ha saputo girare il trend negativo grazie anche al proprio governatore Andrew Cuomo che nella conferenza stampa indetta per annunciare alcune novità in vista del 4 luglio (festa nazionale) e delle settimane future ha svelato un piccolo monumento a ricordo di cosa è stato per lui e per tutti i newyorchesi vivere 111 giorni da incubo con la rappresentazione grafica di una montagna che indica la crescita esponenziale dei casi fino al quarantaduesimo giorno dall’inizio dell’emergenza, e poi la lenta decrescita verso una situazione al momento stabile e che pone il suo stato come uno dei migliori nel paese con bassissimi dati di nuovi infetti e morti giornalieri. Ha detto, chiaramente: “Serve massima coscienza e consapevolezza per quello che potrà essere d’ora in avanti il nostro cammino: abbiamo scalato una montagna, non dobbiamo per alcun motivo trovarci a doverne scalare un’altra”.
La situazione negli stati subito limitrofi (Maine, New Jersey e Connecticut) è forse accettabile, ma addentrandosi nel resto del paese la situazione è, come detto, molto delicata. Purtroppo Flushing Meadows è direttamente coinvolti da quello che sta per succedere. Tra 6 settimane gli uomini, e forse anche le donne, dovranno volare a Washington, DC, per il primo torneo della trasferta USA prima di dirigersi a New York per il doppio appuntamento col torneo Western/Southern Open e lo US Open. Cuomo sa quanto il rischio sia alto, per questo già da metà della scorsa settimana ha cominciato a imporre quarantena obbligatoria per chiunque volesse entrare a New York dagli stati con i dati peggiori a livello di infezione ed espansione del virus. All’inizio erano “solo” 11 ma adesso il numero è salito a 16: Alabama, Arkansas, Arizona, California, Florida, Georgia, Iowa, Idaho, Mississippi, North Carolina, Nevada, South Carolina, Tennessee, Texas e Utah. In California, tra l’altro, il governatore ha ordinato la chiusura a Los Angeles di bar e ristoranti e lanciato un monito molto chiaro: il virus sta correndo e sta infettando sempre più persone nella zona, con tutti i rischi che conosciamo per averli sperimentati in prima persona qui in Italia quando in Lombardia il sistema sanitario è collassato e gli ospedali non riuscivano più a gestire la mole di persone ricoverate.
New York, che voleva creare una cintura di protezione a tre stati con Connecticut e New Jersey, è dunque nuovamente isolato. È una mossa fatta più per proteggersi, ma è grave che uno stato debba ragionare in maniera così diversa nei confronti degli altri suoi “colleghi”. Il nuovo coronavirus però non ha colpito tutti allo stesso modo né allo stesso momento: quando due mesi fa lo stato di New York annunciava 1025 morti e oltre 7000 casi, il giorno peggiore, la Florida non saliva oltre i 58 decessi e 1400 infetti, che in quel momento era il picco negativo dello stato. Ora New York registra meno di 500 casi accertati, la Florida è stabilmente oltre i 7000 da giorni. Soprattutto, non c’è stata unità di intenti e i governatori spesso si sono ritrovati senza l’aiuto del loro “capo”, l’inquilino più scomodo della Casa Bianca negli ultimi anni, che ha dormito nelle prime settimane basandosi su un blocco dei voli dalla Cina che si è rivelato un bluff (oltre 40.000 i cinesi entrati negli USA da fine gennaio a inizio marzo) e non ha pensato all’enorme traffico di persone con l’Europa malgrado iniziassero voci di focolai in Germania, Francia e Inghilterra prima che esplodesse la grave emergenza nazionale italiana. Il 28 febbraio la bollava come una bufala dei democratici per attaccarlo dopo che il tentativo di impeachment non andò a buon fine (non poteva, dato che era il senato a decidere e quello rimane a maggioranza repubblicana). Quattro mesi dopo, gli Stati Uniti viaggiano verso i 130.000 morti e un’emergenza tutt’altro che terminata, anzi che ha ripreso velocemente a correre dopo l’errata riapertura di alcuni stati quando ancora i numeri non potevano garantire sicurezza e con tutti i problemi sociali che ne sono seguiti.
Tra un mese e mezzo il tennis professionistico è previsto attraccare sulla costa est degli USA. Tra due, è previsto il via allo Slam di New York. Tutto, ancora, quantomai in forse e sono tanti giocatori e giocatrici che in questo momento non vorrebbero intraprendere il viaggio e preferirebbero rimanere nel vecchio continente. A proposito di divieti: l’Australia non ha ancora ufficialmente riaperto le frontiere a molti stati compresi quelli europei e nord-americani. Il paese nel complesso ha saputo gestire piuttosto bene la fase più delicata anche sfruttando le caratteristiche interne, ma negli ultimi giorni da Melbourne giungono notizie di un nuovo importante focolaio causato dai dipendenti di un albergo che si sarebbero passati, tra loro, un accendino. Si è creato così un focolaio e i nuovi contagi giornalieri hanno ricominciato a correre nella capitale dello stato di Victoria tornando a livelli di inizio aprile. Già prima che il governo locale pensasse di tornare a nuove limitazioni per contenere questa esplosione c’era la voce che il paese intero potesse rimanere chiuso fino all’inizio del 2021, soprattutto nei confronti di Europa e Stati Uniti. Come facile capire, tutto ciò mette ancora più in dubbio quello che potrà essere il nostro sport, a livello professionistico, finché non avremo una via d’uscita. In tutto ciò, ieri l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avvertito che con questo atteggiamento da parte di politici e capi dei vari stati non si va da nessuna parte, e che anche bisogna aspettarsi una situazione anche peggiore di quella attuale.
Due mesi allo US Open. Se qualcuno ha una sfera di cristallo ci avverta su cosa potrà avvenire.
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