Dovremmo essere qui a parlare di altro, elogiare una impresa, raccontare di come Naomi Osaka ha completato uno US Open da sogno aggiudicandosi il primo Slam in carriera. Dovremmo fare tante cose, e invece a infiammare è il dibattito sul comportamento del giudice di sedia verso Serena Williams, della statunitense verso l’arbitro, di un coaching negato dall’ex numero 1 del mondo ma poi ammesso dall’allenatore della stessa giocatrice, dei fischi, dei tantissimi fischi provenienti dalle tribune.
Dovremmo parlare di tennis, raccontare di dove sia stata la chiave che ha portato Naomi in paradiso, e invece le immagini che vediamo e le parole che sentiamo sono di una Williams che ha letteralmente perso la testa. A torto. Secondo il regolamento Carlos Ramos non ha commesso un solo errore nell’applicare le tre sanzioni che hanno fatto esplodere i nervi all’ex numero 1 del mondo.
Partiamo col primo: come confermato dalle telecamere, e come lo stesso Mouratoglou ha ammesso, c’è stato il “coaching”, il suggerimento a fare qualcosa verso la propria giocatrice. Serena forse ha visto, o più probabilmente no: “Non ho mai ricevuto un warning per coaching in vita mia. Preferisco perdere piuttosto che ricevere consigli da qualcuno”. La reazione, dura ma nelle righe, è stata accompagnata sul cambio campo del 2-1 con una chiacchierata molto più tranquilla dove i due sembravano essersi chiariti. “Non sono una scorretta” diceva Serena, “lo so” replicava Ramos. La statunitense deve aver pensato che il warning le fosse stato tolto (ingenuità, se così fosse) e dopo aver subito il punto di penalità ha cominciato uno show che ha finito per distogliere l’attenzione dalla partita.
“Mi devi delle scuse” ripeteva, “ho una figlia a casa, cosa ti fa pensare che io stia barando?”. I toni si sono fatti sempre più accesi, ha cominciato a puntargli il dito contro un po’ come fece, sempre su questo campo, nel 2009 quando una giudice di linea le chiamò un fallo di piede mentre serviva la seconda sul 6-4 6-5 15-30 in favore di Kim Clijsters. Arrivò il doppio fallo e poi il punto di penalità che volle dire partita finita. Nove anni più tardi, da un banale warning Serena ha cominciato a prenderla sul personale accusando l’arbitro di essere un ladro per averle rubate un punto e di averle inflitto la sanzione solo perché lei era una donna, perché se l’avesse fatto un uomo sarebbe tranquillamente passato oltre. Ha preteso che entrasse in campo il supervisor arrivando fino alle lacrime per come si stava sentendo trattata.
Osaka, in tutto questo, assisteva da spettatrice mantenendo i nervi saldi su una partita che doveva portare a termine nel miglior modo possibile. Non ha mai nascosto che cosa sia per lei il tennis, ovvero “Serena”. “Ho giocato ognuna di quelle palle break pensando di volere a tutti i costi la sfida contro Serena” diceva al termine della semifinale, “Perché? Perché è Serena…”. E così proviamo a calarci nei suoi panni, nella gioia di vedersi sul campo più grande del mondo, in uno degli eventi sportivi più seguiti al mondo, fianco a fianco al proprio idolo o, per enfatizzare, alla ragione per cui ha cominciato a giocare quando era piccola. Anche avesse perso, questa sarebbe dovuta essere una giornata che tra 20 anni le avrebbe fatto venire la pelle d’oca dall’emozione. La realtà invece racconta di una partita dove al passante di dritto in allungo della giapponese sul 4-1 nel primo set verrà affiancato il dito della statunitense contro l’arbitro, le accuse di aver mentito e di essere un ladro, le lacrime di rabbia per essersi sentita vittima di qualcosa più grande di quanto stava avvenendo in quel momento.
In conferenza stampa Serena ha accusato Ramos di un doppio standard, parlato di ‘sessismo’ nei suoi confronti rimarcando quanto detto in campo. Serena ha un grande pregio: essere una donna valorosa, che non ha paura di subire atti di razzismo o sessismo ma di tenere la testa alta e combattere per quello in cui crede. Abbiamo bisogno di persone come lei, capaci di trascendere dal semplice ruolo di sportiva e di diventare un’icona assoluta a livello mondiale. Ma stasera ha commesso un errore imperdonabile: se l’arbitro ha visto (e le telecamere lo hanno mostrato) il gesto poi ammesso di Mouratoglou, l’infrazione c’è stata. A quel punto lui non poteva esimersi dal punirla e lei non avrebbe dovuto, a sua volta, fare riferimento a come i maschi si comportino nei confronti degli arbitri chiedendo equità di giudizio. Se un arbitro mette in pratica le regole non fa altro che il suo dovere. C’è una discrezionalità di giudizio, alcune volte gli arbitri possono decidere di chiudere un occhio, ma Ramos non è mai stato uno che lascia correre. Lei, invece, non avrebbe mai dovuto, soprattutto con la sua esperienza, farsi trascinare emotivamente e rovinare così la sua partita.
In tutto questo, a rimetterci, c’è stata anche (e soprattutto) Osaka che nel giorno più bello della sua precoce carriera si è vista dall’altro lato della rete il suo idolo che perdeva le staffe in questa maniera. Ha il trofeo in mano, ha completato alla perfezione il suo torneo, ma l’immagine di lei che scoppia a piangere sul palco mentre oltre 20.000 spettatori stanno sonoramente fischiando la cerimonia di premiazione è la chiusura peggiore di una serata che probabilmente in cuor suo sperava fosse di festa.
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