TENNIS – NEW YORK. L’Italia che ci piace ha il sorriso di Flavia e Roberta. L’Italia che amiamo è quella di due ragazze, che giocano a tennis, e lo fanno anche molto bene, che giocano una finale, storica, all’Open degli Stati Uniti, che provano a darsele di santa ragione, e in alcuni frangenti ci riescono, ma che poi si abbracciano, incontrando i loro sguardi in un momento lungo, lunghissimo, di passione. Secondi, istanti, momenti di vita trascorsa insieme.
Fotogrammi che si rincorrono veloci negli istanti in cui, invece, vorresti fermarli, rapirli, tagliarli come si faceva con il vecchio negativo in bianco e nero, metterli in tasca e custodirli sino a farli sbiadire. Un abbraccio, una chiacchierata, il piatto, la coppa, i sorrisi, il rapirsi a vicenda in una scena da film, dove non ci sono attori principali, ma come diceva il grande Totò, soltanto la voglia di essere se stessi, sempre e comunque, anche quando il copione imporrebbe dell’altro. Flavia ha detto basta, Roberta no. Flavia ha vinto, Roberta anche.
L’Italia può soltanto dire grazie, genuflessa ai piedi di due grandi donne, che hanno riscritto la storia, che hanno fatto già in modo di tramandarla ai posteri, che oggi, con il sorriso sulle labbra, apriranno gli occhi ad un nuovo giorno, sicuramente diverso, ma per loro uguale agli altri. Un giorno dove rifare le valige, mettendo nei borsoni sponsorizzati anche i momenti, unici e forse irripetibili, di un magico pomeriggio newyorkese, fatto di attese, di palle colpite più o meno bene, di battaglie mentali in ogni santo “quindici” che si rispetti, di sudore sulla fronte, di andare e venire lungo un campo mai così grande. Di imprecazioni e sorrisi, di palle break, di fughe iniziali e sorpassi. Di un abbraccio, soprattutto, lungo una vita. Lì, in mezzo al campo, a ridosso di una rete che, nemmeno lei, è riuscita a dividerle. A dividere quello che la vita gli ha offerto in tanti anni, sino ad un momento incredibilmente vero. Quando a 32 e 33 anni, si sono accorte che ci sono ancra capitoli da scrivere. Di getto, come il desiderio, per loro, di essere normali, sempre e comunque, anche di fronte al sogno che diventa realtà. Il sogno di una vita, che ha i minuti contati, ma che passa in fretta, un attimo dopo che il coraggio, quello sì, che ha preso il sopravvento. L’Italia che ci piace è quella di Flavia Pennetta, campionessa dell’Open degli Stati Uniti e di Roberta Vinci, splendida finalista. L’Italia che ci piace ha i colori sgargianti di una passione che sventola alta, sopra l’Arthur Ashe, come quel tricolore del quale andare fieri. Guardando negli occhi loro: Flavia e Roberta. Rapendo, per un attimo, i loro sguardi, provando a interrogare il loro io, bussando alla porta di un sentimento, senza la presunzione di conoscere, a priori, la propria identità. Di pancia, di cuore, lasciando la ragione riposare su quella sedia, al cambio di campo, comun denominatore di un dialogo finale. Bello, bellissimo, come la loro storia. Riscritta a quattro mani in un sabato pomeriggio nel Queen’s, grigio ed uggioso quanto basta, ma nel rispetto di loro. Di Flavia e Roberta, due grandi donne, le nostre grandi donne del tennis, alle quali non finiremo mai di dire grazie, per averci fatto amare la nostra pazza Italia al di là dell’Oceano, lì dove tutto è sin troppo grande, ma non come il cuore immenso di queste due ragazze, di 32 e 33 anni, felici di aver preso a schiaffi, anzi a pallate, ancora una volta la loro vita.
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