NEW YORK. Un nuovo fallimento. L’ennesimo dall’inizio del 2013. Non è sufficiente una finale a Brisbane o la vittoria su Djokovic per far sì che Dimitrov si consideri a buon punto. Negli Slam ne ha combinate di cotte e di crude, con il terzo turno proprio contro Djokovic a Parigi come miglior risultato ed un atleta su cui, a ventidue anni, i dubbi rimangono ancora superiori a tutte le lodi (ormai poche e ripetitive) spese su questo ragazzo. Il bulgaro è incappato nella ennesima prova negativa in un Major, forse la peggiore di questa annata perché sconfitto dal portoghese Sousa, n.95 del mondo e con un’esperienza racimolata pressoché solo su tornei Challenger o ATP250 su terra rossa.
Qui però il discorso è diverso. Non solo per le condizioni ma anche per la voglia di rivalsa che dovrebbe avere in corpo Grigor. Quel fuoco che arde nel corpo (soprattutto nel polso) di chi vuole iniziare a dimostrare coi fatti di meritarsi l’appellativo di “promessa” che negli anni passati lo ha accompagnato.
Su Twitter c’era scritta una frase rivolta al tennista bulgaro, che diceva come avrebbe bisogno di una vacanza di due settimane per ricaricare le pile, possibilmente in compagnia della sua celebre ragazza. Però non può essere anche questo un suo problema? Da quando è apparso sul circuito deve maledire chi gli ha affibbiato il nome di “baby-Federer”, ora si ritrova anche con un altrettanto scomodo “mr-Sharapova”. I problemi sentimentali forse non lo sfiorano neppure, ma in campo ancora riesce a gettare alle ortiche partite su cui ormai non dovrebbe spenderci più della metà del tempo (e della fatica).
Oggi, una volta ottenuto il primo set con un rapido e confortante 6-3, ha poi smarrito i successivi due per 3-6 4-6 e nel quarto è stato per due volte indietro di un break. Con un colpo di coda ha saputo infilare, da 4-3 e servizio sotto, un parziale di quattro giochi consecutivi che lo hanno portato, a stento al quinto parziale dove però ha subito lasciato strada a Sousa, che ha chiuso con un agevole 6-2.
Se Sparta piange, Atene non ride. Così anche l’altro giovane impiegato più o meno in contemporanea, Janowicz, ha fallito una grande opportunità contro il qualificato argentino Gonzalez, n.245 al mondo. Parziale giustificazione per Jerzy ci sarebbe un problema al braccio che gli rendeva impossibile anche servire con la sua consueta aggressività.
Ha provato, ha combattutto per quello che era in grado di fare. Ha avuto la mezza chance di riaprire il match nel secondo set quando ha recuperato da uno svantaggio di due break, ma sul 4-4 ha nuovamente ceduto il servizio. Il terzo set è stato poco più per una formalità per Gonzalez, che ha approfittato della giornata no del suo avversario per ottenere l’accesso al secondo turno contro Sock o Petszchner.
Rimane però il solito discorso, ormai diventato martellante, sulla carenza di protagonisti giovani. Ieri Tomic ha vinto più per bontà di Ramos che per cattiveria sua, mentre Raonic oggi ha faticato anche più del previsto contro Fabbiano. Urge un cambio di rotta da parte loro, accreditati (da troppo tempo) come futuri crack. Altrimenti l’alternativa è quella di rimanere nel limbo. Gulbis (e tanti altri) dovrebbero solo fare un po’ di spazio.
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