Sinner alla ricerca della felicità

Ognuno ha le sue fisime. Sascha quella di cambiare campo senza uscire dalle righe. Cammina solo sul blu del rettangolo di gioco, e non chiedeteci il perché. Ai cambi aspetta che Sinner passi per primo e sembra un gran bel gesto di cavalleria, ma lo fa solo per non essere disturbato nel suo passaggio, rasente il paletto della rete, un piede dietro l’altro, con l’aria da Gatto Silvestro che non voglia farsi scoprire da Titti il canarino.

Quanto valga simile atteggiamento, non sapremmo dire. In punti? Magari nessuno. In tranquillità personale certo di più, se poi la tranquillità si traduca in punti, beh, questo è possibile, ma difficilmente calcolabile perfino dal più cazzuto algoritmo di Google.

Sulle operazioni anti sfiga degli sportivi si potrebbero riempire interi capitoli. Dicono che le sacche dei tennisti siano come il ventre dei pescecani. Vi si trova di tutto, dai chiodi storti (quelli li teneva anche il Panatta) alle targhe di auto. Non è dato sapere che cosa potrebbe uscir fuori rovesciando la sacca di Sinner, ma l’impressione è che qualcosa cominci a servirgli, se non altro per tirarsi su, o per avere una visione meno punitiva della vita. Al terzo anno da professionista, con tutto quello che di buono ha mostrato e una classifica che diventa di giorno in giorno sempre più vicina alla soglia dell’eccellenza (è annunciato al numero 14, Jannik, e sarebbe – se confermato – il nono best ranking dall’inizio della stagione, avviata da numero 36), il nostro avrebbe tutto il diritto di sentirsi se non appagato (giammai, direbbe a ragione coach Piatti), quanto meno contento di quanto ottenuto finora. Ma chissà se gli riesce. Non sembra. Vuole di più, ed è giusto che si misuri sui più alti desideri, ma lo fa tendendo a mortificarsi quando le cose non vanno per il verso giusto. E non vorremmo che tali presupposti lo disponessero in condizioni di fragilità quando si avventura nei match più complicati, contro avversari che ha fretta di sentire alla propria portata.
Zverev è uno di questi, uno che gli è superiore per classifica ed esperienza, per il servizio anche, ma non per i colpi da fondo campo. Il rovescio del tedesco è una lama, ma anche quello di Semola fa male. E nel dritto (per entrambi il colpo meno fausto) Jannik si fa spesso preferire. Ma Sascha ha con sé le riserve di fiducia accumulate con la vittoria olimpica, con la cacciata di Djokovic dalla semifinale, con la calda estate americana che gli ha portato anche una vittoria a Cincinnati. Cammina sulla sua nuvoletta, protetto dai servizi pesanti che tira giù con apparente facilità. Fa le cose con calma, soprattutto. E in questo potrebbe davvero insegnare qualcosa al nostro, troppo teso e preoccupato nei momenti che contano. Al punto da apparire scapestrato, il giovane Jannik, privo di quell’attenzione che serve a tenere in piedi il match.
Primo set, due palle break fallite da Sinner che poi concede il break nel game successivo a Zverev.
Secondo set, sul 4 pari Jannik salva 4 palle break, poi uccide a colpi di racchetta una comoda volée e si concede al break di Zverev, che nel game successivo regala a sua volta due possibilità per il controbreak. Sinner le affossa con il dritto e sul set point, con uno schiaffo di rovescio, spedisce la palla verso l’Hudson River, dodici chilometri a est di Flushing Meadows.
Accade di peggio nel terzo set, che pure è il set giocato meglio da Semola. Annulla il break di vantaggio di Sascha portandosi sul 4 pari e va avanti nel tie break 4-1. Zverev recupera un mini-break, ma sul 5-4 viene fulminato da una violenta risposta di rovescio colpita da Sinner con la disinvoltura di chi può permettersela. Colpi che pochi sanno fare, Semola dovrebbe ricordarselo di tanto in tanto, quando i dubbi lo assalgono. Ma il nostro è ancora un ragazzo, che volete farci? Sul 6-4 si fa raggiungere con due dritti che non sanno di nulla, e Zverev fa il resto, gestendo con tranquilla efficienza i punti che pongono fine alla contesa. Sono cinque i set point falliti da Sinner. Troppi. E tutti da tenere a mente per non ripetersi in futuro.
«Un match duro, proprio come me l’aspettavo», celia Zverev, che mostra di non esaltarsi troppo. Nell’ultima conferenza stampa aveva giudicato Sinner «un ragazzo che ha fame», che non si capisce se sia un giudizio intinto nel veleno o un tributo rispettoso alle qualità del ragazzo delle nevi. «Le buone sensazioni della vittoria olimpica me le sento ancora dentro, e la medaglia d’oro la porto sempre con me». Pausa, prima della stoccata finale, da provetto Cyrano. «Visto che non ho fidanzate con cui condividere il mio letto, la medaglia la faccio dormire al mio fianco».

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