Raducanu e Fernandez, il mondo che verrà

Hanno un sorriso che vola così in alto, che d’un balzo è al di là di tutto. La finale. La sfida. I soldi. Le tradizioni.

Il confronto più impensabile che potesse prendere forma in un tennis che è Open in tutti i sensi, ma nessuno pensava lo fosse così tanto.

È un sorriso che va lontano, che si specchia nel futuro, di cui loro, Emma e Leylah, sono le rappresentanti, portatrici dirette di un messaggio che ci riguarda. Tutti. Ecco come saremo un domani, vengono a dirci… Saremo come loro, anzi, lo saranno i nostri figli e nipoti. Ed è una fortuna che si siano palesate, e possano raccontarci di se stesse, inquiline di un mondo che ancora non c’è del tutto, ma si sta formando, e forse sarà più bello di questo. Un mondo in cui dna fra loro diversi creeranno intrecci mai visti, incroci che daranno vita a più ricche e insospettabili nature umane. Ma non sono aliene scese da un’astronave, come parve a tutti di Serena Williams, quando dal ghetto di Compton si avventò sui campi di tutto il mondo a dirci che lei avrebbe cambiato il concetto stesso di tennis al femminile, e si rivelò frantumando le speranze di Martina Hingis. Una aveva diciotto anni, l’altra venti. Fu quella l’ultima finale fra adolescenti agli US Open, 22 anni fa. E il tennis cambiò davvero. Ora c’è un nuovo appuntamento fra ragazzine, Emma Raducanu e Leylah Fernandez, 18 anni la prima e 19 l’altra compiuti lunedì scorso. E promettono pagine ricche di nuove emozioni.

Emma è la più giovane e sembra la più pronta, sebbene il tennis di Leylah sprigioni effetti ingannatori, ed è difficile capire in che modo vada anestetizzato. È nata a Toronto, ma a due anni era cittadina di Londra. Padre rumeno, mamma cinese. Lavorano entrambi nella finanza. Lei non ha perso tempo, mentre praticava il tennis ha frequentato la scuola di danza, ha fatto equitazione, sci, golf, nuoto, e si è misurata anche nella velocità, con i kart e le moto da cross. Polverizzare i record è cosa che le viene naturale. Come dar la polvere alle avversarie. Si è fatta conoscere a Wimbledon, si è presentata da n. 338 fresca di maturità, ottenuta tre giorni prima. È arrivata agli ottavi, agile e spigliata come una ninfa, in una delle sue diverse forme, una naiade dei laghi, una driade della foresta, un’oreade dei monti. Creazioni del mito, nate per rendere felice il genere umano. A New York è giunta invece da n. 150, ha passato le qualifiche, ora è in finale. È baldanzosa ed efficiente, le gambe sono velocissime. Nove match senza perdere un set. Nemmeno contro Maria Sakkari, in semifinale. Le ha lasciato 5 game. «Ci sono aspettative su di me? Ma dai, tecnicamente sono solo una qualificata». Per l’ultima volta. Se vince sarà n.23. Se perde 32.

Ben più faticoso il torneo di Leylah, cominciato dal 73 e approdato al n. 27, con possibilità di promozione al n. 19. Anche lei è canadese, di Montreal. E canadese è rimasta. Padre ecuadoriano, mamma filippina. «In tanti non credevano in me, un’insegnante mi consigliò anche di smettere. Non diventerai mai professionista è una frase che ho sentito spesso. E puntualmente mi torna alla mente quando vado in campo. Oggi è il mio portafortuna». Ha superato avversarie di alta classifica, dalla Osaka numero 3 alla Kerber che ha vinto 3 Slam, dalla Svitolina numero 5 alla Sabalenka n. 2 in semifinale, la donna d’acciaio, che urla e colpisce neanche fosse la versione femminile dell’Incredibile Hulk. Leylah si è trovata sotto 4-1 nel primo set e 2-0 nel tie break. Ha lavorato con calma sui colpi, non ha lasciato un centimetro di campo e ha rimontato.

Le due ragazze si conoscono alla lontana. Si sono affrontate una volta nel torneo juniores di Wimbledon 2018, vinse Emma 62 64. Ora la finale. Con un trofeo da sollevare e un futuro da scoprire.

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