E se questa fosse l’Italia del sorpasso?

E così, Musettì e Sinnér sono diventati francesi. Meglio, parigini. Ad honorem… Come fu per Guga, in quel 1997 in cui prese a morsi e smorzate Muster. Come successe al Nadal bambino, con la canotta e la zazzera che lo rendevano simile al Mowgly della Disney, quando cantava “Mi bastan poche briciole, lo stretto indispensabile” con la testa poggiata sul pancione dell’orso Baloo.

Come su scala mondiale è successo a Federer, che governa masse di appassionati come solo Real, Barcellona e Juventus possono permettersi, e fa piangere a ogni sconfitta le signore di Wimbledon, che vedono in lui non l’oggetto di chissà quali desideri, ma il figlio che avrebbero voluto, con il talento per cavarsela nella vita e un sorriso per loro quando tornano a casa. Ovviamente, non troppo tardi.

Musettì piace di più. Perché è brillante, e fa cose che i papà degli appassionati odierni vedevano fare a Panattà, un altro dei figli “rubati” all’Italia. Ai suoi tempi… Musettì ha l’aria ribalda e l’abbronzatura di un giovane marinaio, proprio di quelli alla Dalla e De Gregori, “sempre in cerca di una bimba da baciar”. E la studiata fragranza di un piatto “terra-mare”, che forse gli viene dalla sua origine, Carrara, a due passi dal Mediterraneo e a pochi chilometri dai monti e dai marmi.

Ce n’era di gente a vedere il derby nostro, Musetti e Cecchinato di fronte per la prima volta, con in palio la sfida a Djokovic. E lo stadio è venuto giù dagli applausi quando Lorenzo, per firmare il break che l’ha avviato alla conquista del terzo set, s’è inventato una gran rincorsa per recuperare il servizio eseguito da sotto dal Ceck, e sulla ribattuta ha stampato a un palmo dalla riga una volée eseguita con la racchetta dietro la schiena. Un pezzo di bravura e insieme di determinazione (non l’unico, nel match), condito da quel po’ di presunzione che in un ragazzo così giovane è d’obbligo tollerare.

Sinnér anche piace ai francesi. Ma lo conoscono già da un anno, e la meraviglia per quel gioco compatto, così armonico nei colpi base (in realtà, meglio il rovescio), si è dissolta nell’attenzione alla crescita di un giovane che promette un lungo futuro da Top Ten. S

inner voleva Nadal, che affrontò l’anno scorso per la prima volta su questi campi, e ha ritrovato di recente a Roma. È convinto che nessuno meglio di lui possa dargli l’esatto livello del proprio gioco. Ma chissà se Rafa, nonostante le due vittorie che vanta sul ragazzo di montagna, desiderava incontrarlo così presto.

Ymer non era facile da ammansire. Nell’ultima occasione, a Montpellier, Semola ci aveva pure perso. Uno svedese nero di pelle, origini etiopi, che gioca con grande foga. «Ho cominciato bene», spiega Sinner, «ma nel secondo set è stato difficile rispondere alla sua veemenza. Sono riuscito a riprenderlo, meglio così. Ymer è solido e veloce, ha un tennis aggressivo. Pensavo sarebbe stata una partita lunga, ma alla fine ho vinto in tre set».

A Lorenzo va Djokovic. A Jannik, ancora Nadal. E Berrettini contro Federer… Forse era proprio questo che voleva il Roland Garros, quando ha sorteggiato i Big Three per la prima volta tutti dalla stessa parte, e ha cosparso il tabellone di italiani. Eh? Dite che sto attribuendo una volontà, e dunque un’anima a un torneo? Prima che mi accusiate di aver rispolverato chissà quale religione animista, a supporto della tesi, guardate la realtà dei fatti.

Non sembra anche a voi che i grandi eventi, i tornei più importanti, e lo sport in genere nei suoi momenti decisivi, mostrino spesso una regia che li avvolge e li rende speciali, pronti per essere consegnati alla storia? Fa niente. L’importante, ora, è che tocca ai nostri andare contro i Favolosi. A noi fare lo sgambetto almeno a uno di loro. È un compito grande, forse impossibile. Ma il momento prima o poi doveva arrivare.

Matteo ha fatto il suo. Kwon il coreano molto l’ha allisciato sul rovescio, e il Berretta – un po’ più corto del solito nei suoi sforzi balistici – ha avuto uno o due momenti di batticuore, dai quali si è ripreso solo grazie al travolgente funzionamento del suo servizio.

Federer, contro Koepfer, non è stato così in gamba come nelle prime due partite, ha avvertito la stanchezza, e ha impiegato quasi tre set per snebbiarsi. Quando c’è riuscito il suo tennis ha ripreso vita, ma senza risultare dominante come di solito gli riesce.

Hai un messaggio per Djokovic? Lo hanno chiesto a Musetti. «Un messaggio? E cosa volete che gli dica… Ci siamo allenati assieme in questi giorni, ci siamo conosciuti un po’. Per me, ve lo potete immaginare, è un onore grande sfidarlo. Voglio continuare a godermi queste giornate. Non mi pongo altri problemi. Voglio divertirmi e fare bene».

Un artista, l’ha definito Moya, ex numero uno e coach di Rafa. Mentre Sinner «è una macchina». Musetti ci ha pensato un po’, «è un bel momento, per entrambi. Jannik è più avanti di me, ha giocato partite importanti, e ricordo l’orgoglio che provai un anno fa, quando lo vidi arrivare al set point contro Nadal. Mi piace sentirmi, con lui, parte del futuro tennistico dell’Italia, è una bella sensazione».

Chi può dargli torto? Quarto e quinto set non li aveva mai giocati, prima del match con Cecchinato. «Tensione e stanchezza certo non posso negarli. Quando sono arrivato al match point avrebbero potuto giocarmi qualche brutto scherzo. Ho buttato via i primi sul 5-1, ma sul 5-3 ho servito bene. È stata un’emozione grande».

C’è tempo solo per un ultimo messaggio di Sinner. «Lorenzo sa fare tante cose più di me. M’incanta guardarlo. Siamo diversi, ognuno con la propria personalità e una bella dotazione di colpi. Meglio così».

L’Artista e la Macchina. E se fosse l’Italia del Sorpasso?

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