Sonego, il nuovo gladiatore del Foro

L’impresa Sonego ce l’ha nei colpi, nei pensieri. Nei numeri.

È tra i pochi a vantare un “gambetto di Re” al numero uno, che mise alla porta Djokovic a Vienna sul finire della scorsa stagione; perché non tentare il colpo anche con chi è stato numero tre? Figurarsi se uno come Lori si fa sfuggire l’occasione. Anzi, la costruisce sul posto, mattone su mattone, e la rinforza, la smonta e la rimonta ancora più solida, fino a sfinire quello che un tempo si faceva chiamare Dominator, a ridurlo in crisi mistica alle prese con il più paradossale dei monologhi. Quello rivolto a se stesso in cui il personaggio che merita tutto il suo disgusto è proprio lui. Roba da matti. Più o meno. Come roba da matti è la svolta che Sonego impone al match quando sembra che non ci sia più speranza. Siamo 5-4 per Thiem nel terzo, l’austriaco è al servizio. Lore sgomita e sorpassa, ottiene il break e la parità, gioca da indemoniato e si porta avanti 6-5. Poco dopo, siamo al tie break. Intanto il pubblico se n’è andato, per via del coprifuoco. Sonego comincia bene, Thiem rinviene, ma il torinese trova i colpi giusti, gli spari di Thiem non gli fanno paura. Una palla lenta inguaia l’austriaco a rete, il match point dura un attimo, palla lunga, Sonego alza le braccia. Tappa, maglia e cronoscalata sono sue.

L’Italia sopravvive, questa volta il faro è questo ventiseienne piemontese al quale lo spogliatoio del Tour concede ormai grande attenzione. Lori passa per quello che “ti fa stare in campo fino a notte”, che “sa giocare tutti i colpi”, che “se ti azzanna, non ti molla più”. Thiem era avvisato… Non il miglior Thiem, è vero. Viene da un lungo rimessaggio, curativo di infortuni del fisico e dell’animo, e ha ripreso solo a Madrid. Qui a Roma mostra già di essere cresciuto, ma Sonego l’ha obbligato a dare il meglio di sé per portare a casa il match e non è bastato. Lori ha vinto il primo, ha costretto Thiem a un faticoso tie break nel secondo, ha condotto di un break il terzo, infine l’ha superato in volata. Giocherà con Rublev, ma i quarti appena raggiunti valgono già moltissimo.

La zona d’ombra, in questo festival di manate (il copyright è di Berrettini), di catenate (Bolelli), di lavandini volanti (Pennetta), viene invece – complessivamente – dal modo di giocare dei nuovi, spericolati assi del tennis, un “dolce stil novo” che di dolce non ha nulla e per quanto riguarda lo “stil” ci sarebbe da discutere a lungo. Un tennis talmente sopra le righe (in tutti i sensi, anche in quello decisamente tennistico di pallate che sbiancano le righe di fondo), che finirà per porre inevitabili problemi di manutenzione, e dovrà essere accudito con tutti i ritrovati tecnologici che potranno essere riconvertiti a uso tennistico.

La stessa sconfitta di Matteo Berrettini con Stefanos Tsitsipas, per stare all’attualità, pone un problema che sembra quasi un paradosso, nel senso che non si capisce perché nessuno ci abbia pensato prima. Il nostro, reclinante dalla forma della scorsa settimana a Madrid, ma orgoglioso al punto da mascherare i disagi fino all’1 pari del secondo set, dopo un primo giocato forse meglio del greco, ha pagato caro un errore (per carità, in buona fede…) dell’arbitro Carlos Bernades, che sul 3-2 del tie break a favore di Matteo, non gli ha dato il punto su una smorzata molto ben lavorata, sulla quale Tsitsipas è giunto una frazione di secondo in ritardo. Insomma, doppio rimbalzo della palla e 4-2 per Berrettini, che invece si è ritrovato sul 3 pari.

Ora, Matteo fa sfoggio grande sportività quando dice che la sconfitta ha preso forma in più di un frangente, nel corso del match, e che alla fine è pure meritata, ma non v’è dubbio che il 4-2 gli avrebbe offerto condizioni (e convinzioni) migliori per giocare le sue carte. Allo stesso modo Tsitsipas non si sarebbe sentito così tranquillo nelle successive manovre.

Capita… Sbagliare è umano, si dice, e d’accordo, ma non tecnologico. Il tennis è sport, non gioco a carattere sportivo. E lo sport porta con sé la necessità che il risultato finale sia certo. Per questo da tempo il tennis limita il numero degli arbitri in campo, concedendo spazio alla tecnologia, che controlla le righe e molto altro, sparando nei microfoni i suoi “out” e i suoi “foot fault”. Agli ultimi Australian Open l’arbitro in campo era uno solo, quello sul trespolo. Un notaio a verifica delle decisioni prese. Ma se questa è la strada (ed è questa, dato che il tennis considera fuorviante il fattore umano), come si fa a non dotare di una moviola istantanea l’arbitro di sedia, per rivedere le immagini meno chiare?

Il punto è questo… Sebbene sia venti anni più avanti del calcio nell’uso della tecnologia, al tennis serve una Var, insomma, una movioletta. «Che volete che vi dica, l’episodio l’avete visto, e l’ho rivisto anch’io», racconta Matteo. «Avevo ragione. Lì per lì il punto perso qualche scompenso l’ha causato, ma è inutile insistere». Altro che. Il percorso va affrettato.

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