Serena Williams e lo US Open: New York abbraccia la Regina divenuta “mommy”

Ragazza, poi donna. Campionessa e poi Regina. Adesso, per tutti, "mommy": "mamma". New York ritrova Serena Williams in un rapporto che ha vissuto di alti e bassi ma che lei descrive come "un'emozione unica". Dopo un buon esordio, è partita la caccia allo Slam numero 24.

“Go mommy!” urlano dalle tribune dell’immenso Artur Ashe, “We love you mommy”. Dapprima ragazza, poi donna, campionessa e poi regina. Adesso, per tutti, “mommy”: “mamma”. Serena Williams ritrova lo US Open, il suo pubblico, e lo fa con la sua piccola Alexis Olympia, ormai pronta a spegnere la sua prima candelina dopo 12 mesi vissuti tra poppate e un affetto smisurato. “È un momento incredibile, grazie a tutti voi per essere qui con me questa sera, giocare a New York è una delle emozioni più belle che possa avere” diceva al microfono, in campo, dopo l’esordio vincente contro Magda Linette.

Dovremmo tuffarci nella mente di Serena per capire bene l’equilibrio che deve riuscire a trovare. Lei non ha mai nascosto di essere una che si lascia trascinare dall’emotività, soprattutto quando riguarda il lato dei propri cari e come si è spesso esposta verso di loro, dal padre Richard alla madre Oracene, dalla sorella Venus alla figlia. In tutto questo, una delle più grandi atlete di tutti i tempi (maschi compresi) deve svestirsi dei panni di madre per tornare a cimentarsi nella sfida e confrontarsi con la voglia immutata di essere ancora la migliore anche in campo. “Per tutte voi, mamme: hashtag #ThisMommy”, raccontatemi le vostre storie e le vostre esperienze perché possano aiutarmi a migliorare” ripeteva molto sorridente sempre nell’intervista post-partita, “quest oggi è stata una giornata strana, sono uscita dall’hotel senza salutare Olympia e mentre stavo arrivando qui volevo piangere ma mi ripetevo di non farlo. Ho resistito e domani finalmente la rivedrò!”.

Certe sensazioni non sono banali, soprattutto con le complicazioni post parto che la statunitense ha vissuto. La crisi respiratoria, il ricovero d’urgenza e attimi in cui si ha la consapevolezza che potresti persino non rivedere più tua figlia. A chi importerebbe qualcosa di una partita di tennis in quei momenti? Eppure questa donna ha uno spirito forte da superare ogni immaginazione e oggi, nel 2018, eccola ancora qui sui campi dello US Open. Ci sta provando e ci proverà finché si sentirà in grado di sostenere uno sforzo che va oltre la fatica fisica, con una vita non più focalizzata solo su una pallina gialla. In questo modo, tra una serie di piegamenti e un livello-partita ancora di ritrovare e il desiderio di vedere la proprio figlia piena di orgoglio per lei, sta andando avanti questo pensiero chiamato ’24’ come il titolo Slam che vorrebbe conquistare per agganciare Margaret Smith Court e togliersi questa mosca nell’orecchio. “Forse non si dice spesso, ma sono molto ben cosciente dei vari record e voglio che sia chiaro: io punto ai 25 (titoli Slam, nda). Non ne avrei bisogno, come non avrei bisogno di soldi dei montepremi, ma sono io che voglio nuovi trofei. E questa differenza per me vale tutto” diceva tempo fa in un’intervista a Vogue. Eccoci qui, con una nuova occasione importante perché inserita nell’ottavo della testa di serie numero 1, Simona Halep, caduta subito per mano di Kaia Kanepi. La rumena è stata “consolata” da Garbine Muguruza e Sloane Stephens: la prima ha dichiarato in conferenza stampa che New York è anche questo, “o la ami o la odi, non c’è una via di mezzo, e tutto è condizionato”, mentre la statunitense ha detto che “io non avrei mai voluto affrontare Kanepi al primo turno Slam, so di cosa è capace ed è stato un sorteggio pessimo per lei”.

Eppure, per Serena lo US Open non è sempre stato un luogo di soddisfazioni. Parlando solo degli ultimi anni, fu qui che venne squalificata nel 2009 dopo gli insulti urlati e la racchetta puntata contro la giudice di linea, poi 4 anni quasi perfetti tra 2011 e 2014 dove perse solo la finale nella prima occasione contro Samantha Stosur. Infine, le fughe del 2015 e 2016 dopo le sconfitte in semifinale. Nel primo caso dopo quella maledetta (per lei) partita contro Roberta Vinci dove aveva tutto per completare un percorso che sarebbe divenuto leggendario con il Grande Slam a un passo e spentosi contro l’avversaria meno pronosticatile alla vigilia. Nel secondo, con una sconfitta contro Karolina Pliskova che le è costato il trono di numero 1 WTA ai danni di Angelique Kerber. In entrambi i momenti, i suoi post partita sono stati comprensibilmente carichi di frustrazione e da lì ha detto “basta” chiudendo in anticipo entrambe le stagioni.

Adesso è tornata con un peso importante da sostenere e onorare, ma anche con un pubblico che negli anni l’ha vista evolversi e affermarsi come icona ben oltre al campo da gioco, cominciandola veramente ad apprezzare soprattutto nell’ultimo decennio. Oggi la sua grandezza, forse alle volte sottovalutata, è tutta nel caloroso abbraccio del popolo di New York, a cominciare dalla cerimonia di apertura tradizionale dove hanno presenziato Billie Jean King e Virginia Wade, con Kelly Clarson che ha annunciato: “Sono fiera di poter essere qui per preparare la scena all’ingresso in campo di Serena Williams”. Così, per quanto siano passati poco meno di 6 mesi dal rientro a Indian Wells, questa circostanza è stata comunque da pelle d’oca. Nello sguardo di lei, nel momento di massima concentrazione mentre entrava in campo, e in quello festante di tutto lo stadio, c’era un connubio magico. New York ha riabbracciato la sua Regina, che da adesso è forse un po’ più spogliata di quell’aura di atleta invincibile perché mamma come tutte, ma al tempo stesso ancor più speciale.

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