Danilovic: “Djokovic un eroe per la Serbia. Sarò per sempre grata a Ivanovic”

Intervista esclusiva a Olga Danilovic, classe 2001. Tra i vari temi racconta come la Serbia sia stata spinta ad amare il tennis grazie ai suoi numeri 1 e quanto importante sia la famiglia nella sua crescita.

Lo scorso anno sei stata una delle due giocatrici nate nel 2001 ad aver vinto un torneo professionistico, tu però hai vinto singolo e doppio nella stessa settimana. Quest anno i miglioramenti sono continuati e hai già vinto una partita nel circuito maggiore a Limoges. Hai notato qualche differenza tra i due circuiti?
“Ricordo che lo scorso anno vinsi ad Antalya in singolo e in doppio ma ero andata lì proprio con l’intento di capire se fosse molto diverso dal circuito junior. Alla fine ho capito che il livello, almeno per un 10.000 dollari (adesso divenuto un 15.000 dollari, nda) come quello, era praticamente lo stesso solo le giocatrici erano tutte più abituate di me che venivo dal giocare contro le junior e sul 5-5 sanno come giocare per vincere a differenza di me che magari faccio stupidi errori, ma a livello di tennis è lo stesso”.

Dunque era una sorta di esperienza? Eppure hai vinto il torneo senza perdere un set, battendo anche una giocatrice classificata nella top-400 in finale.
“Sì, ero lì come wild-card e non avevo alcuna aspettativa. Nessuna mi conosceva e nessuna sapeva qualcosa del mio gioco ed io dopo lo US Open junior non avevo giocato altri eventi prima di quello. Ero estremamente rilassata, senza nulla da perdere ed ho giocato un gran torneo”.

Penso di indovinare se dico che il primo messaggio che hai ricevuto è stato dal padre.
“Esatto, mi ha anche fatto divertire perché gli avevo spiegato un po’ di volte che avrei dovuto vincere il torneo per entrare nel ranking e lui scherzando mi ha scritto: “Brava, ora vediamo se sarai davvero nel ranking”. Poi una settimana dopo il mio nome era tra le prime 1000 del mondo”.

Che importanza ha tuo padre nella tua vita?
“Aspetta, tu sei italiano, dunque sai chi è mio padre, vero?”
Sascha, il grande giocatore di basket, sì.
“Mio padre non viaggia con me, per quello c’è mia mamma anche perché ci capiamo meglio, però mio padre rimane il mio fan numero uno. L’aver praticato sport ad alto livello lo porta anche a capire bene il mio stato d’animo se perdo, come sono prima della partita, cosa deve dirmi, davvero. Mi manda sempre dei messaggi di conforto quando perdo aiutandomi a guardare avanti e rimanere positiva. Mia mamma invece si occupa più dell’aspetto tennistico, viaggiando sempre con me sa consigliarmi su cosa sia giusto o cosa sia sbagliato del mio gioco”.

Ha mai provato a portarti a giocare a basket?
“No, mai. Lui sa che a me piace tanto come sport ma non ho mai pensato di praticarlo. Quando capita vado a vedere le partite del Partizan, ma non mi è piaciuto praticarlo. Ho provato altri sport: pallavolo, ginnastica e poi tennis. Mi è piaciuto subito perché è uno sport individuale ed io mi sento molto più vicina a questa situazione”.

Come hai cominciato a giocare a tennis?
“Stavo guardando una partita di Novak Djokovic in televisione, non ricordo il torneo ma era durante il periodo estivo quindi magari al Roland Garros o Wimbledon. Mi è sembrato uno sport carino, dunque l’ho provato visto anche che sono una persona a cui piace praticare tanti sport. La mia prima lezione la ricordo ancora: correvo ovunque e colpivo la palla, probabilmente ero un disastro però mi è piaciuto e mi son detta di tornarci una seconda volta, poi una terza, poi è diventato amore”.

Il nome del tuo primo circolo?
“Partizan. Andai lì perché avevo saputo che c’era un coach molto bravo, Jovan Zlatanovic. Gli sono veramente grata perché se sono entrata in top-10 a livello junior ed a 15 anni posso competere con giocatrici molto più grandi è anche grazie a lui. Mi ha insegnato tutto: il dritto, il rovescio, il servizio. Lui è il miglior coach in Serbia, probabilmente, per quello che riguarda il settore giovanile. Poi sono cresciuta e sono migliorata, ma la tecnica che uso ora è quella che lui mi ha insegnato. Gli sono veramente grata per tutto”.

Parlando dei giocatori serbi, questo è il primo anno senza Ana Ivanovic. Hai mai avuto occasione di incontrarla?
“Sì, molte volte. Ci conosciamo penso piuttosto bene. Lei è una persona eccezionale con una bella personalità ed è stata una delle più forti giocatrici al mondo. Mi spiace si sia ritirata, ormai un anno fa, ma se penso a tutto quello che ha fatto per la Serbia e per come l’ha fatta conoscere in tutto il mondo, è qualcosa di incredibile. Dunque sono contenta che qualcuna come lei sia nata in Serbia, nel mio paese, e che sia divenuta così forte da raggiungere anche il numero 1 del mondo. Sono dispiaciuta per la scelta, ma allo stesso modo le sarò eternamente grata. È una dei miei idoli, senza dubbio: mia connazionale, vincitrice del Roland Garros, numero 1 del mondo. È stata una grande”.

Mentre per Djokovic?
“Non servono parole. Lui è stato il mio primo idolo e sarà per sempre il mio preferito. Per il suo gioco, per il suo carattere, per la sua vita, per quello che ha raggiunto, per qualsiasi cosa. Davvero. Penso che tutti quanti dovrebbero avere quella voglia, quella dedizione che lui ha. Non posso dire altro che il meglio”.

Ti sei avvicinata al tennis quando in Serbia tutti stavano imparando a conoscere non solo lui ma anche Ana Ivanovic, Jelena Jankovic. Come è cambiata la situazione nel tuo paese grazie a loro? 
“Il tennis forse è sempre stato parte della nostra storia, solo non abbiamo mai avuto questi grandissimi campioni. Quando Novak è diventato un grande, tutti in Serbia hanno imparato a conoscerlo ed amarlo. Non c’è una sola persona che lo detesti. Ho un amico di famiglia che non segue tanto lo sport, ma quando gioca Djokovic posso dirti che l’ho visto piangere a dirotto nel caso in cui finisse per perdere quella partita. È un eroe per tutti noi, se mai io riuscissi a raggiungere la metà dei suoi traguardi sarei non incredula, non contenta, di più”.

Ricordo un video su YouTube in cui facevano vedere i festeggiamenti per il primo titolo a Wimbledon di Djokovic e c’era gente per strada a saltare dalla gioia, macchine che giravano per le strade con le bandiere serbe.
“Sì, verissimo. Quando vinse il primo titolo a Wimbledon tutta la Serbia si fermò per giorni. Quella domenica ci fu l’inizio di una serie di festeggiamenti che durarono poi fino al momento in cui lui tornò a casa. L’intera città di Belgrado fu paralizzata, i clacson suonavano all’impazzata per ore, le persone non trattenevano la loro gioia. Poi Novak tornò e ci furono centomila persone alla festa che fecero in suo onore. Lui merita tutto questo ogni singolo giorno”.

Sei coetanea di Potapova…
“E sono anche molto amica con lei. Grandissima giocatrice, i suoi risultati parlano per lei. Abbiamo giocato l’Orange Bowl insieme in doppio, abbiamo vinto… È sempre bello quando si incontrano persone come lei e si stringono certi legami”.

A fine del 2016 ha annunciato di voler dare l’addio al circuito junior nonostante come te dovesse ancora compiere 16 anni. Anche tu hai vinto tanto, ma hai passato la stagione dividendoti tra junior e pro. Come mai pensi abbia deciso per questa diversa scelta?
“Lei lo scorso anno ha vinto tantissimo, molto più di me. Ha vinto Wimbledon, ha chiuso al numero 1 del mondo il 2016 e piuttosto che essere di nuovo in Australia a gennaio ha deciso di provare da subito alcuni tornei “pro”, direi che è stata un’ottima scelta. Ha vinto subito un titolo da 25.000 dollari ed è vicina alla top-200, ormai aveva poco da chiedere a quel mondo. Io quest anno avevo deciso di ridurre l’attività junior solo ai tornei Slam e qualche ITF grado A, cominciando già a giocare alcuni tornei pro. Parlando per lei però credo abbia fatto la scelta giusta: tra gli junior non aveva più granché da raggiungere”.

La parte più difficile per un tennista dentro e fuori dal campo, qual è?
“Fuori dal campo è viaggiare, senza dubbio. Viaggiare ed essere lontana dalla mia famiglia. A quest età può essere molto complicato, io stessa i primi tempi non riuscivo ad adattarmi. Avevo 11 o 12 anni, facevo i miei primi viaggi per i tornei e mi ritrovavo a piangere pensando a loro. Adesso però ho capito che questa è la vita che voglio: devo sacrificare qualcosa per avere in cambio qualcosa di meglio. Penso comunque che le mie sensazioni fossero quelle di tutte: sei lontano da casa, la mamma non è lì con te, o il papà o la sorella… Ma ora va bene, li sento ogni giorno via Skype. In campo la cosa più difficile per me è perdere, perdere e sapere mentre esci dal campo che non hai dato il meglio di te stesso. Quando capita a me la prima cosa che vorrei fare è andare in camera mia, chiudere la porta e buttarmi nel letto senza voler alzarmi per i successivi 5 giorni”.

Ad inizio anno sei stata chiamata in Fed Cup per giocare nel Gruppo 1, avresti fatto il tuo esordio nella nazionale maggiore a 16 anni appena compiuti. Sei stata costretta a rinunciare causa un infortunio, ma come hai vissuto il momento della convocazione?

“Mi è dispiaciuto tanto non poter giocare, già nel 2016 ero stata chiamata come quinta e sentivo un’emozione fortissima ad avere addosso la maglia della Serbia. L’ho saputo quando ero a giocare un torneo in Spagna, non avevo la minima idea mi potessero scegliere come parte del team. Ricordo che qualcuno mi inviò dei messaggi, mi scrivevano “bravissima, congratulazioni”. Io rispondevo a tutti con: “perché?”. Mi hanno mandato una foto di un giornale, di un sito internet, dove dicevano della mia convocazione. Ho cominciato a urlare, a correre, a saltare dalla gioia. “Oh mio Dio!” ripetevo. Sarebbe stata un’esperienza straordinaria: alla mia età giocare per la propria nazione è tra le cose più belle che ti possa succedere. Peccato per il problema fisico (è stata costretta al ritiro durante l’Australian Open junior, ha saltato 2 mesi, nda), ma spero di aver modo di rifarmi in futuro”.

Il tuo 2017 in singolare racconta un titolo in un ITF da 15.000 dollari, una semifinale in uno da 60.000, i quarti allo US Open (junior) e la prima vittoria in un torneo WTA, seppur di categoria 125k. Ti sei avvicinata alle prime 350 del mondo. Ti eri prefissata qualche obiettivo? Cosa vorrai dal 2018 e dalle stagioni successive?
“Confesso che ancora non ho grandi obiettivi in mente, vivo più giorno per giorno e non faccio grandi previsioni a lungo termine. L’unico vero obiettivo che ora ho è di continuare fare quello che amo, e ora quello che amo è giocare a tennis. Per quest anno sono soddisfatta, il vero obiettivo era quello di cogliere ogni opportunità che avevo davanti. Devo pensare magari non tanto al singolo risultato, ma ad avere un miglioramento costante nel mio gioco. Non ho qualcosa che sento di dover migliorare più di altro, devo migliorare ogni parte del mio tennis”.

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