Schiavone sconfitta, l’Italia è giunta (davvero) al tramonto

Francesca Schiavone sconfitta nell'ultimo Slam della sua carriera. Due anni dopo la finale tutta italiana allo US Open, nessuna azzurra è approdata al secondo turno.

[Q] K. Kanepi b. F. Schiavone 0-6 6-4 6-2 (Diego Barbiani)

Non c’è gloria, neppure una minima soddisfazione, per la pattuglia italiana al femminile a Flushing Meadows. Francesca Schiavone completa il tris di eliminazioni al primo turno del quarto ed ultimo Slam del 2017, battuta 0-6 6-4 6-2 da Kaia Kanepi, in un match che adesso ha un forte sapore amaro. Non tanto per la milanese, amareggiata e immaginiamo molto delusa da un incontro che sembrava saldamente nelle sue mani prima di cambiare direzione ad inizio del secondo parziale e vederla sprofondare sempre più. Non è bastata neppure la sospensione di ieri, quando il punteggio diceva 6-0 Schiavone e 4-2 Kanepi a cambiare un’inerzia che si stava spostando, progressivamente, dalla parte della tennista estone.

Finisce così, su un campo non coperto da telecamere, quella che sembra essere a tutti gli effetti l’ultima partita della carriera comunque straordinaria della ex numero 4 del mondo, ancora presente in top-100 a 37 anni suonati, ma a cui non si possono più chiedere i miracoli di qualche anno fa. Eppure, era lei l’ultimo baluardo a cui aggrapparci per mantenere la bandiera tricolore accesa nel tabellone femminile. Due anni fa dominavamo l’Artur Ashe e ci emozionavamo grazie a Roberta Vinci e Flavia Pennetta, capaci di battere la numero 1 e numero 2 del mondo in un pomeriggio tanto folle quanto perfetto. Ora contiamo i caduti, i set vinti (1 solo) e quelli persi (6). Soprattutto, ci accorgiamo una volta di più che tutto il ben di Dio che Schiavone, ma anche le stesse Vinci e Pennetta, come anche Sara Errani, hanno ottenuto negli ultimi 8 anni sembrano rimasti fini a se stessi.

Possiamo contare ora le Fed Cup, i piazzamenti in top-10 in singolare e doppio, le finali Slam e le vittorie in singolare e in doppio. Possiamo raccontare di come Serena Williams nel 2015 a Parigi dedicava uno dei più bei gesti di rispetto verso Schiavone, nel giorno in cui Francesca superava Svetlana Kuznetsova in quell’incredibile match, incrociandola nella players lounge e senza lasciare che l’azzurra potesse dire o fare qualcosa cominciò a urlare “Grande Francesca!” per tre volte, con il pollice destro alzato. Schiavone provò a chiederle qualcosa della sua partita, ma lei non volle parlare, facendo un cenno con la testa mentre si allontanava con il suo team: sei tu la star oggi, non io. Eravamo già in difficoltà, del quartetto più glorioso della nostra storia una (proprio Schiavone) stava già attraversando un brutto periodo di risultati. Idem Vinci, che poi pochi mesi dopo si riscattò ribaltando il mondo e diventando lei la giocatrice in grado di fermare Serena, ormai a due vittorie dalla conquista di uno storico Grande Slam.

Si è esultato, si è celebrato, si è gioito con loro. Oggi, quello che rimane, è una Vinci che ammette di non avere più la testa al tennis, Schiavone che difficilmente deciderà per un nuovo anno nel circuito (anche se la sua voglia rimane quella di una ventenne, motivo per cui non vogliamo mai fare i conti senza l’oste…) ed Errani sta pagando la squalifica per la positività ad una sostanza dopante finita, sembra, in un piatto di tortellini. Pennetta ha scelto New York per salutare, nel momento più importante della sua carriera. Lo stesso sembra abbiano fatto Vinci e Schiavone. Errani, nel frattempo, è scivolata ben oltre la top-200 e al momento, sembra assurdo, per l’Australian Open 2018 la prospettiva è quella di avere appena un’italiana in campo nel tabellone principale: Camila Giorgi. Proprio quella Giorgi che nell’ultimo anno e mezzo ha vissuto sulla propria pelle lo strappo con la federazione e ha affrontato la vicenda (tramite i suoi legali) in tribunale. Per il resto, come ormai da tempo si sa, c’è ben poco.

In questo US Open abbiamo anche avuto, nel tabellone di qualificazioni, un volto nuovo e dal gioco abbastanza atipico per le nostre latitudini: Georgia Brescia, classe 1996, era arrivata al turno decisivo. Lei, bimane con il dritto ed il rovescio, si è spinta fino alla top-200. Jasmine Paolini è intorno al numero 130 del mondo, più altri nomi nelle retrovie. Il problema è che, per quanto queste ragazze stiano crescendo anno dopo anno, sembra sempre troppo poco. Almeno, lo è a livello di gruppo. Il tennis è e rimarrà uno sport individuale, ma quanto abbiamo vissuto negli ultimi 10 anni è stato uno straordinario risultato di tutta la squadra. Erano le nostre Fab Four e grazie a loro si è toccato il cielo. Ora che il sogno è finito, ci risvegliamo in una realtà dura, quasi inaccettabile. Soprattutto ci chiediamo: due anni fa abbiamo causato il terremoto più forte nel mondo del tennis, come abbiamo fatto dunque a lasciare che quell’incredibile situazione venisse, col tempo, accantonata nel cassetto dei ricordi?

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