Halep ha conosciuto il suo diavolo, ora deve poterlo sconfiggere

Gli ultimi 3 mesi per Simona Halep sono stati sportivamente tremendi. La nuova dolorosissima sconfitta, a Cincinnati, non può essere considerata come tutte le altre.

Subito dopo l’ultima risposta di dritto, sparata ad occhi chiusi in una zona del campo non meglio realizzata fino a qualche attimo prima, Simona Halep è corsa negli spogliatoi. La rumena ha voluto scaricare tutto il nervosismo accumulato in meno di un’ora di gioco, magari maledicendosi per aver mancato nuovamente l’obiettivo del numero 1 del mondo, magari lasciandosi andare in un pianto di rabbia e delusione. Un set in cui è stata preda dell’aggressività di Garbine Muguruza, un secondo dove è sparita velocemente dal campo non fosse stato per il quarto game in cui ha fatto intravedere gli unici sprazzi di quello che sa realmente fare.

Il 6-1 6-0 della finale di Cincinnati è pesante, doloroso e difficile da leggere, soprattutto se a riceverlo è la numero 2 del mondo, scesa in campo con ambizioni da leader. Una bocciatura totale e se per il primo set aveva l’attenuante di chi ad ogni colpo sapeva mettere la palla negli ultimi millimetri di campo (anche quando era chiamata a soluzioni difensive) nel secondo ha proprio mollato la presa. Per come si è sviluppato questo copione è stato anche peggio di quando a Parigi è stata ripresa dal 6-4 3-0 e poi dal 3-1 nel set decisivo, o quando anche a Wimbledon era avanti di un set contro Johanna Konta.

Ci si aspettava una giocatrice molto abbacchiata, nella cerimonia di premiazione, che a malapena avrebbe avuto la forza e la voglia di dire “grazie” a qualcuno. Invece, nuovamente, Halep ha messo in mostra la qualità di “gracious in defeat”, di accettare il corso degli eventi e di darsi una risposta ammettendo le proprie colpe. Lo ha sempre fatto, anche nelle due circostanze precedenti in cui aveva le mani sul numero 1 del mondo. Piuttosto sorprende come con la mente sembra reagire in tutt’altra maniera ad una sconfitta che dovrebbe bruciare da matti. Anche in conferenza stampa ha parlato con estrema lucidità e franchezza di quanto è successo: “Ci sono giornate diverse per ognuno di noi, io stessa nella mia vita e non solo sul campo da tennis ho giornate in cui non riesco a fare quello che vorrei, in cui non sono chi vorrei”. Complimenti a lei, se davvero riuscirà a non lasciarsi trascinare in un vortice pericolosissimo. Già al Roland Garros fece molta impressione il suo parlare onesto, lucido e senza tanti tentennamenti: aveva forse perso la chance più grande della carriera di vincere uno Slam, eppure aveva già la forza per dire che evidentemente era accaduto perché non era ancora pronta. Questo davanti al suo coach, ai suoi genitori, a Virginia Ruzici sua mentore (e unica campionessa Slam rumena), Ion Tiriac, il suo team, gli amici e tutte le decine di centinaia di rumeni accalcati sul Philippe Chatrier e tra Bucarest, Cluj e Costanta, dove erano stati allestiti maxischermo per sostenerla.

“Scusatemi tutti, oggi ho giocato davvero male” sono state le parole che più sono rimaste impresse del suo discorso. Lucido, razionale, sincero. Viene da essere abbastanza in empatia con lei, visto che nella storia recente non si ricordano così tanti fallimenti ad un passo da un traguardo che, legittimato da titoli importanti o meno, avrebbe dello storico. Ci sono solo 5 punti ora tra lei e Karolina Pliskova: una numero 2 e l’altra numero 1. Che cosa vuol dire questa differenza? Tutto e nulla. La rumena potrebbe passare la ceca in qualsiasi momento, anche giocando un primo turno in un ITF da 60.000 dollari che ne porta in dote 8. Un distacco così corto non lo si registrava dal 2009 quando a metà ottobre la differenza tra Serena Williams e Dinara Safina era di 5 punti in favore della statunitense.

Oltre al bagno di umiltà però servirebbe altro. L’immagine che esce da queste occasioni è della giocatrice che se prima veniva elogiata per essere in top-10 ininterrottamente dal febbraio 2014 ed aver trascorso quasi tutto il tempo di questi ultimi 3 anni e mezzo nella top-5, ora viene vista come l’eterna incompiuta, che non riuscirà mai a compiere l’ultimo step, costretta anche per difficoltà sue a rimanere ai margini di chi ha fatto la storia. Sembrava tutto pronto poche settimane fa per elogiare la prima del suo paese a raggiungere, a livello femminile, la vetta del mondo. La prima dai tempi di Ilie Nastase, 40 anni fa. Invece quella ragazza oggi deve fare i conti con una nuova, dolorosissima, battuta d’arresto. Lo US Open la rivedrà leader della classifica provvisoria, con 180 punti di vantaggio su Garbine Muguruza, 555 su Elina Svitolina, 865 su Karolina Pliskova. Il problema, però, è quel demonio che si sta prendendo gioco di lei da quel sabato di inizio giugno a Parigi, lì dove la sua carriera si è inceppata sul più bello. Simona dovrà trovare questo demone e sconfiggerlo prima che sia troppo tardi.

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