Wimbledon: Djokovic cerca se stesso e Federer fa 85 (vittorie), Connors battuto

Giocando appena un set, Novak Djokovic ha cominciato il suo Wimbledon 2017, un torneo in cui va alla ricerca di se stesso prima ancora che del trofeo.

[2] N. Djokovic b. M. Klizan 6-3 2-0 rit. (Piero Vassallo)

Quaranta minuti sul Centrale per cominciare il suo Wimbledon, con più incognite che certezze dopo tanti anni. Novak Djokovic ha esordito ai Championships di quest’anno giocando poco più di un set contro Martin Klizan: poteva essere un primo turno insidioso invece un problema alla caviglia ha azzoppato lo slovacco costringendolo a salutare tutti al secondo gioco del secondo set. Ha inaugurato così il suo torneo Djokovic, su quel centrale che aveva vissuto l’ultima volta il 29 giugno di un anno fa, battendo in tre set Adrian Mannarino. Era reduce dalla vittoria del Roland Garros, aveva il completato il Career Slam, era nettamente il più forte di tutti ormai da quasi due anni. Poi arrivò Sam Querrey e da quel KO in poi Nole non è più stato lo stesso, non ha più vinto niente di importante, ha perso la prima posizione in classifica ed è scivolato ancora più giù diventando numero 4.

Cosa sia successo a Novak Djokovic è un mistero, probabilmente non lo sa nemmeno lui, ma quello che sappiamo è che il serbo si è spento e non riesce a riaccendersi. C’è stato sì qualche acciacco fisico, ma nulla che possa spiegare come un giocatore capace di vincere diciassette tornei sui ventiquattro disputati dal gennaio 2015 al giugno 2016 di colpo inciampi contro i vari Querrey, Bautista Agut, Istomin e si faccia umiliare da Thiem a Parigi. E se nel fisico non c’è la soluzione bisogna guardare alla testa, quella anche a detta di Goran Ivanisevic è il vero problema di Nole. Cos’è successo dopo quell’ultimo punto della finale di Parigi contro Murray? Cosa ha fatto cambiare il cannibale Djokovic rendendolo un giocatore normale e oltremodo vulnerabile?

Ci ha provato Djokovic a trovare delle risposte, ha cambiato le cose intorno a lui liberandosi prima di Boris Becker e poi di Marian Vajda e degli altri componenti del suo team storico e ha chiamato al suo angolo Andre Agassi, che di cadute e resurrezioni se ne intende. Non ha ottenuto grandi miglioramenti, ha continuato a non vincere e per prendere fiducia in vista di Wimbledon si è preso una wild card a Eastbourne dove ha vinto il torneo. Un brodino caldo. A Church Road arriva da numero 2 del seeding grazie ai risultati degli anni precedenti, ma nelle gerarchie dei favoriti parte molto più indietro. Così per la prima volta dopo anni prima ancora che puntare alla vittoria finale, Nole è costretto a fare i conti con un obiettivo più importante: ritrovare se stesso.

[3] Federer b. Dolgopolov 6-3 3-0 rit. (dalla nostra inviata, Rossana Capobianco)

Per Federer Melbourne è lontana: la Melbourne dell’incertezza dopo sei mesi di inattività, dei punti interrogativi e soprattutto della pressione inesistente.

“Torneo di prova, gioco sciolto”. Sei mesi dopo, la pressione c’è.

Vuoi perché si chiama Wimbledon e qui hai vinto sette titoli, vuoi perché a Melbourne senza nemmeno immaginarlo poi hai trionfato, prendendoti successivamente anche il Sunshine Double tra Indian Wells e Miami; poi hai saltato la terra “per dare tutto il meglio qui”.

Allora la pressione te la tieni, te la sei anche un po’ cercata, pazienza.

Federer la accarezza un po’: nemmeno un’oretta, finita con una risposta smorzata di dritto che convince Dolgopolov che no, non è aria, non sta benissimo, non ha voglia di mettersi a rincorrere tutte queste carezzine che quel signore vestito di bianco laggiù si diverte a dispensare nel suo giardino preferito.

Però in questo ristretto spazio di tempo Roger Federer raggiunge tre traguardi mica male: i 10.000 ace (sì, diecimila) in carriera, supera Connors per partite vinte a Wimbledon (85) e raggiunge Fabrice Santoro a quota 70 presenze negli Slam.

Anche per oggi la pagnotta se l’è guadagnata, per le battaglie ci sarà tempo.

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