Un’estate rovente tra sabbia e terra rossa

Sconsolati perché è finito Wimbledon? Ma allora non siete dei veri tennisti!

Il vero tennista non va mai in vacanza. L’estate è la stagione per eccellenza dei tornei e va bene portare famiglia e prole al mare purché ci sia un circolo nelle vicinanze dove poter giocare la sera, nell’ora in cui gli altri fanno l’aperitivo.
Nei weekend di luglio si scappa per una tre giorni rigenerante lontano dal caldo sfiancante della città nelle spiagge limitrofe alla capitale, già popolate dai vacanzieri più fortunati di lunga degenza che hanno preso fissa dimora sul litorale laziale. Meta ambita per un po’ di relax in compagnia sorseggiando Spritz al tramonto in riva al mare e la voglia sempre intatta di fare due palle in costume a fine giornata per poi ritrovarsi, come per magia, inscritti a un paio di tornei che si inseriscono nel circuito del Tirreno.
Questa sfrenata voglia estiva di tennis, che ci fa apparire come dei folli o degli eroi agli occhi degli amici con cui condividiamo l’ombrellone, in realtà è facilmente comprensibile. Infatti tra giugno e inizio settembre i big della racchetta si danno battaglia in tre dei quattro tornei del Grande Slam tra terra, erba e cemento intervallati da un paio di Masters 1000 e svariati ATP 500 di tutto rispetto. Allora care partner se avete scelto di condividere la vostra estate con un tennista rassegnatevi a passare qualche ora di tintarella in solitudine, perché al di là della classifica da confermare o migliorare, il richiamo di un’ estate rovente tra sabbia e terra rossa sarà più vivo che mai.
Vacanza alla fine vuol dire proprio questo, poter dedicare del tempo a ciò che amiamo in una situazione psicologica ottimale deprivata dallo stress della routine quotidiana. Una manciata di giorni all’anno dove possiamo vivere senza pensieri, spengere il cellulare, lasciare che la casella “posta in arrivo” si riempia di messaggi e in questa situazione idilliaca sarebbe masochistico privarsi della nostra più grande passione dopo aver fatto tutto il possibile e anche l’impossibile per coltivarla nei mesi cittadini. Scendere in campo con la leggerezza di un ragazzino e la maturità dell’essere uomo, una al servizio dell’altra, per ottenere quel giusto mix di esperienza e sfrontatezza funzionale alla gestione del match perché, anche da over 35, dobbiamo continuare a crederci come insegna sua maestà svizzera con l’ottavo titolo sull’erba londinese.
D’altronde i professionisti viaggiano per infinite miglia rincorrendo le estati attorno al globo terrestre per poter competere undici mesi all’anno sotto il vero sole, quello per cui il salsicciotto refrigerante intorno al collo al cambio campo diventa piacevole come il bombardino bevuto nella baita sulle piste da sci tra una discesa e l’altra. Il sudore scende dalla fronte scivolando delicatamente in terra a un millimetro dalla punta del piede sinistro prima di servire, la maglietta si appiccica alla pelle, il calzino bianco si impregna del rosso della terra, il campo bisognoso di acqua deve aspettare tassativamente la fine del set, il grip nuovo sembra più scivoloso del sapone, le gambe pesanti hanno dimenticato le ore di allenamento invernali e si rifiutano di obbedire agli impulsi mandati dal sistema nervoso centrale. Queste sensazioni sono il motivo per cui ci compriamo il costume con le tasche, ci presentiamo in spiaggia con le scarpe da ginnastica al posto delle consuete infradito e passiamo la giornata alternando sedute di ombra e sole con sporadici bagni rinfrescanti per arrivare alla sera in perfetta forma.
Con il tramonto negli occhi scenderemo in campo per iniziare una nuova battaglia e se il giorno dopo ci metteranno in orario alle tredici saremo di nuovo lì così come per i giorni a seguire, finché usciremo vincitori dal campo. La cosa meravigliosa è che passeremo dal correre sulla sabbia incandescente per evitare di ustionarci la pianta del piede nel tentativo di raggiungere la riva, a correre sulla terra rossa desertica per evitare di subire un colpo vincente nel tentativo di ributtare la palla di là.
Alla fine altro non è che la semplice metafora della vita. C’è un inizio, una strada da percorrere a volte facile e a volte difficile, ci sono delle pause, c’è il nostro compagno d’avventura (l’avversario), c’è un traguardo da raggiungere che ci siamo prefissati e che ci rende tennisti trecentosessantacinque giorni l’anno, vacanze incluse.

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