Roland Garros, dejavù da semifinale

Nomi già visti alle semifinali del Roland Garros, ma se l'intruso fosse proprio Rafael Nadal, il re della terra rossa, il nove volte vincitore di questo torneo?

Pur sembrando un sacrilegio dare dell’intruso allo spagnolo per le vie di Bois de Boulogne, rischiando la condanna per lesa maestà, la situazione è effettivamente questa. Paradossale, ma tant’è. Sono passati ben dodici anni dal suo primo trionfo nell’ultima giornata, la più importante, ma il favorito ancora oggi è indubbiamente lui. La corsa al titolo è quindi chiusa come potrebbe apparire?
Probabilmente no e i motivi sono più di uno. Anzi sono tre. Il Budd di Michael Madsen in Kill Bill diceva “The killer number one is retirement”. Vero è che Rafa nè ritirato né altro, ma non è questo il punto. Per dare il massimo nelle partite decisive è necessario essere continuamente spronato da situazioni competitive. Insomma devi anche avere affrontato situazioni difficili, almeno sulla carta, ed esserne venuto fuori. Sulla sua strada per la finale, Nadal ha trovato in ordine Benoit Paire, Robin Haase, Nikoloz Basilashvili, Roberto Bautista-Agut e infine Pablo Carreno-Busta. Non ci vuole molto a capire che lo spagnolo, pur essendo sempre molto tiepido nelle sue uscite, non ha mai pensato per un secondo di poter perdere nemmeno un set prima della semifinale. Il povero Basilashvili ha racimolato un solo game, scusandosi poi in sala stampa, e Pablo Carreno-Busta ha abbandonato il campo dopo un set, forse per spostare la macchina o più probabilmente a causa di un infortunio. Paire ha pensato più a divertirsi e Bautista sarà stato probabilmente felice di aver fatto da sparring a niente meno che Nadal, mica Federer, che notoriamente non è tifato da nessuno. Insomma, Rafa Nadal arriva a questa semifinale senza mai esser stato impensierito un minimo ed è proprio ciò che potrebbe rivoltarglisi contro, oggi contro Dominic Thiem.

Non si può comunque dire che l’austriaco abbia trovato un cammino impossibile. Bernard Tomic, Simone Bolelli, Steve Johnson, Horacio Zeballos. E poi ai quarti Novak Djokovic. Il serbo non è quello del career Grand Slam, non è quello che ha polverizzato Nadal a Doha, non è il tiranno che per due anni ha regolarmente disinnescato Roger Federer in quasi tutte le finali giocate. È quello dei lamenti, delle racchette rotte, dei rovesci steccati. Insomma un gemello molto somigliante che deve fare una fatica tremenda per sbarazzarsi di Albert Ramos. Però è Novak Djokovic, campione in carica, che appena una settimana prima ha concesso all’austriaco appena un game. Thiem non ha la certezza di uscirne vincitore e questo lo costringe ad alzare il livello dell’attenzione già dai quarti. Il match poi lo vince il tre set, togliendosi anche la soddisfazione di infliggere un bagel al serbo, che si avvia mesto verso gli spogliatoi. Una vittoria come altre, o magari un passaggio di consegne. Sicuro è che l’austriaco non partirà battuto contro Nadal, e per quanto la situazione possa sembrare simile all’anno scorso, semplicemente non lo è.

Che dire invece di Andy Murray? Fondamentalmente che non si può essere il numero 1 del mondo e non avere neanche una possibilità di alzare la coppa dei moschettieri. Lo scozzese ha incontrato sulla sua strada Andrey Kuznetsov, Martin Klizan, Juan Martin del Potro, Karen Khachanov e Kei Nishikori. Andy è un guerriero e ama quando le partite finiscono per diventare lotte senza quartiere. Ancora non ne ha affrontate della durata di cinque set, ma ha già giocato diversi tiebreak, contro avversari dal gioco spiccatamente violento quali Klizan e del Potro. Il rendimento, così come la fiducia, dello scozzese è andato in crescendo, il che lo ha portato a reagire, nei quarti di finale, dopo il 6-2 subito da Nishikori, surclassandolo nel resto del match. Perdere negli Slam due volte di fila contro lo stesso giocatore non è qualcosa che Murray può permettersi, a meno che non si parli di Djokovic. È in ogni caso quello che più di tutti si può considerare un outsider, principalmente per il suo tipo di gioco, che non ha la potenza di Wawrinka, né le rotazioni di Nadal e Thiem. Andy però sta là, come l’anno scorso, l’anno precedente, e quello dietro ancora. Vero è che nei tornei non funziona come al supermercato con le fidelity card, ma qualcosa vorrà pur significare.

Infine il più imprevedibile del quartetto, quello del caffè al cambio campo, quello dei rovesci lungo linea che non si vedono nemmeno partire. Di Stan Wawrinka si dice sempre che non abbia mezze misure, o stanno tutte dentro o l’avversario può impostare la partita sui suoi gratuiti. Lo scorso anno, lo svizzero si era trovato in semifinale lo stesso avversario di oggi, ma ancora una volta, le cose sono leggermente diverse. Wawrinka era arrivato in semifinale senza convincere, mentre Murray stava vivendo la parte iniziale della sua lunga rincorsa alla vetta del ranking. Quest’anno i piedi dello scozzese vanno più piano e lo stesso Wawrinka ha dato l’impressione di muoversi meglio. Hanno incrociato il suo percorso Jozef Kovalik, Alexandr Dolgopolov, Fabio Fognini, Gael Monfils, Marin Cilic. Per non concedere nemmeno un set ad avversari che, anche se non pericolosi, sono almeno fastidiosi, allora Stan potrebbe star meglio di quanto si pensi. Resta quindi una semifinale aperta, anche questa, disponibile a chi ha la forza e la voglia di andarsela a prendere.

Il Roland Garros non avrà forse regalato finora momenti emozionanti, o indimenticabili ma la giornata delle semifinali potrebbe dargli la possibilità di farsi perdonare. Non tetti ma meravigliose partite, lo Slam parigino coccola così i suoi spettatori. I presupposti non mancano assolutamente e spetta ai giocatori rispettare le attese, sperando di non vedere l’ennesima replica. In fondo, ripetere uno spettacolo senza l’attore protagonista non è mai facile.

Dalla stessa categoria