Ostapenko, la ballerina che ha appena cominciato a danzare

20 anni, cresciuta ballando e colpendo palline da tennis, oggi è entrata nella storia dalla porta principale. "Ha reso possibile qualcosa che non era lontanamente immaginabile".

Cresciuta in un paese dove le uniche religioni sono il basket e l’hockey, Jelena Ostapenko ha trovato la sua consacrazione raggiungendo uno dei traguardi sportivi più importanti nella storia della Lettonia, in uno degli impianti storici del tennis: il Philippe Chatrier di Parigi, il campo centrale del Roland Garros. 20 anni e 2 giorni, la terra (quella rossa) ai suoi piedi. Piedi delicati, leggeri, che danzano al ritmo di samba alla ricerca di una pallina da colpire e trasformare in vincente. La lettone, prima giocatrice della propria nazione a vincere un torneo così importante nello sport meno praticato (probabilmente) del proprio paese, ha praticato per tantissimo tempo sia la danza che il tennis. 7 anni passati a dividersi tra scuola, campi da tennis e palestra dove perfezionare i movimenti dei piedi a ritmo di musica. Poi, ai 12, la scelta definitiva: tennis.

Quest anno in Australia noi di Oktennis siamo stati gli unici a chiedere un’intervista a questa giocatrice ora diventata campionessa che ha capovolto il mondo e che da adesso sarà chiamata a gestire una situazione molto particolare. Quel giorno il nostro inviato era assieme alla lettone in un gabbiotto creato all’interno della sala stampa, “interivew area 5”, con un tavolino da bar e due sgabelli. Aveva appena battuto Yulia Putintseva, approdando per la prima volta in carriera in un terzo turno Slam. Ci raccontò tante cose interessanti e se l’aneddoto sul ballo è divenuto ormai famosissimo, c’è quello della passione per la scuola. Jelena ci ha confermato, tra le righe, che nel 2016 fu costretta a saltare Indian Wells per obblighi scolastici, non frequentando una scuola privata come magari ci si poteva aspettare: “Ho sempre voluto studiare perché nel tennis non puoi mai sapere cosa ti capiterà. Dunque pensavo che se fossi riuscita a finire un’ottima scuola avrei poi potuto avere maggiori opportunità nel futuro”.

Proveniente da Riga, figlia di un padre calciatore e di una madre che l’ha sempre accompagnata fin dai primi passi su un campo da tennis. Jelena Jakovleva è stata la prima maestra ed anche la persona che ha sempre creduto in lei. “Non è stato facile” diceva Ostapenko alla vigilia della finale, venendo da un paese non molto ricco come la Lettonia ho avuto bisogno dell’aiuto e del sostegno di tante persone: la famiglia, alcuni amici che hanno contribuito a realizzare questo sogno”. Tre anni fa era nel box di Ernests Gulbis: “È sempre stato un punto di riferimento per me, in quel torneo stava giocando bene e mi dava spesso consigli sul gioco”. Oggi lei, l’allieva, ha superato quello che maestro avrebbe dovuto diventarlo fin dal 2008, anno in cui si manifestò proprio a Parigi, raggiungendo i quarti di finale.

Prima del suo paese, capace di giocare con grandissimo coraggio (e, perché no, follia, spensieratezza) e di non arrendersi neppure quando si trovava sotto 6-4 3-0 e tre chance del 4-0, mettendo da parte le tre finali giocate (e perse) fin qui. L’avevamo vista racimolare quattro game contro Annika Beck in Quebec nel 2015 e Daria Kasatkina a Charleston, quest anno, mentre a Doha, nel Premier 5 arabo, giocò un primo set perfetto contro Carla Suarez Navarro ma nel momento in cui la spagnola ha alzato il livello, cominciando a tenere le accelerazioni avversarie ed a rigiocare più offensivo, si è sciolta. Oggi quel copione sembrava ripetersi, poi ad un certo punto si è ribellata ed ha cominciato a spingere con ancora più precisione di prima, aggredendo e recuperando terreno, pareggio e superando la rumena. A Riga la stavano seguendo su un maxi-schermo allestito nella piazza, ecco il momento del match point:

Esultanza da stadio per quella che è uno dei successi più importanti della piccola nazione che conta meno di due milioni di abitanti e che oggi ha trovato il suo Eldorado. Sono arrivati anche i complimenti da parte del ministro dello sport lettone: “Questa ragazza ha reso possibile qualcosa che non era neppure lontanamente immaginabile”.

Non solo merito suo, perché lei non ama la terra e quest anno non aveva la classifica per giocare i migliori tornei. Passata per le qualificazioni a Stoccarda ed a Roma, non ha potuto giocare Madrid perché fece semifinale a Praga perdendo in due set da Krystina Pliskova. Però è cresciuta tantissimo, soprattutto ha cominciato a credere molto più in se stessa, rimanendo il più possibile calma al contrario dei primi momenti nel circuito WTA quando spesso lasciava sfogare le frustrazioni. La maga ha un nome e due cognomi: Anabel Medina Garrigues. La spagnola, ex numero 3 al mondo in doppio, ha cambiato il modo di stare in campo della lettone, non modificandole il gioco ma dandole quella consapevolezza dei suoi mezzi e di come “disporli” nella maniera migliore.

Così la giocatrice di belle speranze, dallo sguardo piuttosto furbo e dalle espressioni che fanno sorridere, è arrivata tassello dopo tassello all’ultimo dei 299 vincenti per concludere in trionfo la sua campagna parigina. Un rovescio vincente lungolinea, il suo colpo naturale, il più bello, il più fluido. La mamma in tribuna piangeva, lei ha gettato a terra la racchetta, ha agitato le braccia ed è andata a stringere la mano all’avversaria. Neanche troppo scomposta, ma dannatamente fiera di se stessa. Sa quello che ha fatto, perché già nel 2014 a Wimbledon vinse il titolo Slam junior ed anche in quel caso fu una prima volta. Anche lì, quasi senza esultare, agitò le braccia e si diresse a stringere la mano a Kristina Schmiedlova. La mamma in tribuna aveva un sorriso da orecchio ad orecchio, lei in confronto era una statua. Questo però vale mille volte più del successo sull’erba sacra di Church Road, dove sarà un banco di prova molto importante, su una superficie che lei adora e che due anni fa vide il suo esordio assoluto tra le grandi. Un match, quello, che non poteva passare sotto traccia: 6-2 6-0 a Carla Suarez Navarro, allora top-10 e reduce dalle finali a Miami e Roma, in 45 minuti, sommergendola di vincenti e facendo capire che è lì dove lei potrebbe trarre il massimo.

Due anni dopo il cerchio si chiude: Ostapenko è la più giovane campionessa Slam da Maria Sharapova, US Open 2006. La più giovane a vincere uno Slam al primo tentativo in finale da Svetlana Kuznetsova, US Open 2004. Non ci sarà l’erba sotto i suoi piedi ma la terra, ma quei piedi hanno appena cominciato a danzare a ritmo di samba.

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