“Che Genie” e quella rivoluzione rancorosa contro la Sharapova

Il match vinto dalla Bouchard contro la Sharapova a Madrid e le dichiarazioni della canadese hanno mostrato ancora una volta il "lato oscuro", e più intimi, di tutta la vicenda.

“Avevo extra motivazioni oggi: non l’avevo mai battuta, poi viste le circostanze di questo match… Mi sono sentita ispirata anche da tutte le persone che in privato mi hanno detto “buona fortuna”, persone con cui normalmente non parlo, persone che mi hanno scritto messaggi. Ho voluto questo successo per me e per tutte queste persone”. Così parlò “Che Genie”, attualmente conosciuta come Genie Bouchard. Bella, bionda, non esattamente una rivoluzionaria nei modi e nei gesti. E sì, gioca a tennis. Occasionalmente, anche molto bene. Come successo a Madrid, dove nel “main event” di giornata la canadese ha battuto colei che le ha donato motivazione extra. Cioè, Maria Sharapova. Da giorni le due si erano beccate e più o meno velatamente insultate. Lontani i tempi in cui le due si fotografavano insieme, sorridenti, con Genie ancora bambina. Tutto finito. Esattamente da quando la canadese (e gli sponsor. E la WTA) si è messa in testa di dover subentrare nel ruolo di regina del tennis femminile. Non in campo, figurarsi, ma nelle copertine, nel cuore dei soldi e compagnia bella. L’attenzione che il caso doping della Sharapova e i tappeti rossi che le sono stati concessi al rientro dopo essere stata beccata a compiere illeciti sportivi hanno, diciamo ritardato il processo di ricambio. Certo, ci sarebbe anche il piccolo particolare marginale che la Bouchard non ottiene risultati decenti su un campo da tennis da quasi 3 anni, ma vabbè. Basta una foto in bikini su Twitter (anche della sorella Beatrice, va più che bene) e via.

Detto ciò, “Che Genie”, dopo aver bastonato e sconfitto la Sharapova, si è lanciata in dichiarazioni che, a chi scrive, hanno fatto più o meno rabbrividire. Sul serio. Lasciando stare la mancanza di classe e di eleganza e forse anche di sportività, è francamente avvilente assistere al linciaggio che ha dovuto subire la russa prima, durante e dopo il suo rientro. Non tanto dagli appassionati, dai tifosi, dai leoni di tastiere, persino dai media e giornalisti vari, gente che prima avrebbe più o meno sparato a parenti prossimi pur di ottenere anche un vago saluto dalla Sharapova, ma dalle sue colleghe. È tutto giusto e legittimo, per carità, ma da chi per anni ha incrociato “le racchette” con l’ex numero uno, forse ci si sarebbe aspettato qualcosa di più, e non delle reazioni più o meno da cheerleaders adolescenti che non vedevano l’ora di poter dire o fare qualcosa contro la più bella e la più famosa e la più desiderata del reame. Non è un caso, probabilmente, che Serena Williams (che in altre occasione ha lanciato vere e proprie bombe atomiche contro Masha) non abbia detto granché contro la sua rivale di sempre (non sul campo, in quello non c’è mai stato quasi mai paragone). L’americana non ha bisogno di questo, lei è già superiore.

La quasi totalità delle colleghe, invece, hanno fatto come quelle persone che da anni e anni attendono qualcosa, come delle ragazzine incattivite dalla noia o dalla frustrazione possono aspettare un cane o un gatto randagio ferito e indifeso, con dei sassi o dei bastoni pronti dietro la schiena. Anche nelle frasi contro la Sharapova, tra di loro c’è una sorta di spirito di competizione che li ha spinte a superarsi in ironia tranciante e sicurezza senza riserve nei loro giudizi. È stato ed è curioso vedere come la loro ostilità personale (perché essenzialmente di questo si tratta) abbia portato a considerazioni che dall’esterno siano apparse incredibilmente e apparentemente oggettive, depurando, in una sorta di magia, un punto di vista personale che più personale non si può. Nelle frasi non l’ombra di dubbio, ma solo certezze pure nemmeno fosse constatate in laboratori, come se si riferissero a parametri di cui nessuno avrebbe avuto senso dubitare. Colleghe (e colleghi) che in tutti questi anni hanno visto passare sotto i loro occhi cose enormemente più gravi, più evidenti e da non tollerare come se niente fosse. Applaudendo, magari, convinti che tutto andasse bene e che il mondo del tennis, fino al 2016 e alla conferenza stampa della Sharapova, fosse un meraviglioso posto senza macchia e senza vergogna.

Detto questo, c’è un problema. Certo che c’è un problema. Ci mancherebbe altro. Al netto dell’invidia, del rancore, che fanno parte certamente del pacchetto consegnato alla Sharapova, dato che è molto probabile che lei poi le tratti tutte un po’ dall’alto, e dietro tutte le storie dell’imbrogliona, della “comunque dopata”, eccetera, c’è una vicenda, e le colleghe dovrebbero attenersi a essa, giudicare quella vicenda, e non semplicemente il sentimento popolare. Insomma, fanno lo stesso tipo di comunicazione che fanno quei partiti dove puntano tutto sulla rabbia della gente, a tutti i costi. Titillando il sentimento popolare, e istigando l’odio. Detto questo, quando una come la Mladenovic, che è una ragazza abbastanza limpida (ma questo è un mio giudizio) sostiene che il problema si pone – pur nella comprensione che la Sharapova è un bocconcino che gli organizzatori non vogliono lasciarsi sfuggire, visto che di mestiere fanno… gli organizzatori dei tornei – quando vengono girate a lei delle wild card che normalmente dovrebbero essere a disposizione di ragazze scese in classifica per via di infortuni. Lei ha avuto una vicenda di giustizia sportiva, può essere famosa quanto le pare, ma è giusto togliere qualcosa ad altre solo perché lei è famosa? La domanda, sinceramente, ha un senso. E mostra una visione sociale dell’insieme che non si può cassare, questa si, come banalità,

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