Brown, Zverev e gli altri. Divertenti, ma se lavorassero meglio?

Tutti ammiriamo la fantasia di questi giocatori ma esiste la possibilità che siano anche vincenti?

Era il 2014, al torneo di Halle, quando un tedesco con lineamenti giamaicani eliminò dal torneo Rafael Nadal, con una tattica di gioco decisamente inusuale per il tennis contemporaneo. D’accordo si giocava sull’erba, forse la superficie più sgradita allo spagnolo nonostante i due Wimbledon in bacheca, ma Dustin Brown, perché di lui stiamo parlando, non giocò solo e semplicemente serve and volley, mescolò in ogni modo le carte, con smorzate, attacchi controtempo e tutto ciò che il tennis “fantasia” vi può far venire in mente.
Il risultato del match tra i due si ripetè l’anno successivo in maniera più clamorosa, perché avvenne a Wimbledon, e se in un torneo come Halle una sconfitta di Nadal con un mezzo sconosciuto abituato a calcare più i campi dei challenger che dei tornei principali, poteva apparire casualità di una storta giornata, ai Championships, dove appunto lo spagnolo ha anche vinto, fece, come era logico attendersi, grande scalpore.

Da allora quasi tutti gli appassionati conoscono Dustin Brown, attuale numero 84 della classifica, abituato a galleggiare nei 30 posti che circondano tale posizione e forse, possiamo dirlo, il giocatore più noto ai tifosi rispetto alla sua classifica. Il suo stile, fatto, come sostengono tutti gli addetti ai lavori, di un gioco che non rinuncia mai, in nessuna situazione, al colpo spettacolare, alla soluzione sorprendente, piace a tutti gli appassionati di tennis, diverte e mette in mostra una sensibilità di mano di altissimo livello. Tutto vero e ormai ampiamente assodato. Il tedesco, oltretutto, proprio questa settimana ha aggiunto al suo palmares lo scalpo di un altro top-ten, Marin Cilic, sconfitto in un’ora a suon di tennis champagne. Ogni sua vittoria, così come quelle di altri tennisti atipici per questi tempi, ad esempio Misha Zverev con Andy Murray all’ultimo Australian Open, ripropone il classico tormentone degli utlimi anni: si può vincere, nel tennis di oggi, senza chiamarsi Roger Federer e rinunciando al tennis percentuale, di cui i due primi giocatori del mondo sono i più grandi interpreti?

La risposta sembra implicita già in quanto detto sopra, se i primi due giocatori del mondo interpretano il gioco in maniera opposta e l’unico a poter rompere questo schema è Mr. 18 slam, ovviamente è no. Le ragioni sono state dibattute ovunque e sono le solite: le racchette di oggi, le superfici omologate, con addirittura l’erba di Wimbledon rallentata, le palline più lente, la preparazione atletica maniacale dei grandi difensori. Tutto questo sbarra la strada ad un tennis più aggressivo, più fantasioso, più d’attacco. Tutto vero, solo che la colpa non è solo di questi fattori, la colpa è anche di Dustin Brown e dei pochi che giocano come lui.
Perché, mio caro Dustin, è indubbio che il tuo stile sia assolutamente divertente. Ma è possibile che se giochi così, se hai quel talento, quella capacità di immaginare giocate che molti non vedrebbero neanche dopo un’ampia spiegazione, tu non possa mettere insieme a tutto questo un po’ di sana e ragionata tattica?
Possibile che per te, come per Misha Zeverev, come per altri, non possa esistere un piano B?
Il problema sembra davvero essere che esista un pensiero unico da ambo i lati: o sei un giocatore percentuale, o sei aggressivo e imprevedibile sempre e comunque.

Si risponderà che è necessario tenere conto dell’indole del giocatore, che Dustin Brown non può giocare diversamente. Ma come si allenano i cosiddetti “fabbri”per un certo stile lo può fare anche uno dotato del suo talento. Non sarà facile, servirà magari un coach molto intelligente nell’insegnare a mescolare davvero la carte, ma un vero tennista professionista non può puntare solo a divertire e a dei challenger, deve anche vincere.
Il discorso può essere ribaltato anche su chi gioca solo tennis percentuale. Davvero non c’è possibilità di apportare varianti a questo modello? Il più colpevole in questo senso forse è proprio il numero uno del mondo, Andy Murray, che per tutti gli addetti ai lavori ha un talento tennistico puro, al di là delle sue doti atletiche, altissimo. Chissà se Andy non avesse rinunciato ai consigli di Brad Gilbert, l’unico che non lo spingeva a seguire questa strada, avrebbe potuto vincere di più, dimenticando in molti frangenti la linea di fondo o il metro posteriore.

In ogni caso, le vittorie in questo inizio di stagione di Zverev proprio con Murray, Dustin Brown con Cilic, quella di Roger anche se si sa che lui è unico, agli Australian Open, potrebbero far ben sperare. Già, perché se, come da sempre, per superare il livello del migliore bisogna andare oltre, forse allora, per battere la perfezione percentuale di Murray e Djokovic, la strada è questa. È un tennis molto difficile? Sì, ma per battere i migliori non ne esiste certamente uno facile. Ci vorrà un salto di mentalità e di intelligenza dei giocatori, e probabilmente anche dei coach, magari sacrificando qualcosa ai risultati.

Rivoluzione copernicana o piccola rivoluzione? Si può fare? Sarà anche difficile, vero, ma renderebbe ancora più bello questo splendido sport.

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