L’anno del buon ritorno

Federer, Nadal, Sharapova e Serena Williams. L’attenzione è tutta per loro, su che cosa sapranno fare e se riusciranno a tornare protagonisti. M’incuriosisce anche l’addio di Djokovic a Becker e più che mai rivedere Tiriac nel ruolo di manager. Si vede che crede in Pouille.

Tira un’aria diversa dal solito, sul tennis. O l’avverto solo io? Non so, mi sembra però che l’attenzione non sia tutta rivolta alla lotta al vertice, come sarebbe logico e come siamo abituati. La cosa vale per il tennis maschile e anche per il suo dirimpettaio, al femminile. Forse sbaglio, ma non vedo grande interesse verso i temi più ovvi della battaglia fra il numero uno, che in fondo è nuovo anche se conosciutissimo, e il numero due, che fino a ieri tutti ritenevano (pure io) l’unico numero uno possibile e certificato. Murray? Djokovic? Mah, vi sono evidentemente delle novità che attraggono di più, che intrigano maggiormente.

Eppure, la grande rincorsa dello scozzese ha avuto qualcosa di miracoloso, costruita punto su punto, fra tante vittorie importanti, su tutte l’ultima alle ATP Finals, più ancora che quelle a Wimbledon e ai Giochi, che certo risultano più fascinose, storiche, e destinate a figurare al centro della carriera di Murray, quando anche lui sarà pronto per la pensione e se ne potrà trarre un bilancio definitivo. Ma per l’attualità immediata, per le conseguenze che quel match ha avuto e avrà sul proseguo del tennis, niente è stato più importante della finale del Master, che ha visto Murray tornare a sfidare Djokovic dopo molti mesi (dopo la finale del Roland Garros, per dirla tutta) e con il numero uno in palio, e stavolta vincere dando finalmente l’impressione di non subire il carisma del serbo.

Poi, è vero, continuo a sostenere che Murray sia un gran pallettaro, e che i pallettari (grandi, piccoli, evoluti, specializzati…) non dovrebbero stare al vertice del tennis, e se invece ci stanno – come in questo caso – e persino con agio e merito, non riesco davvero a ritenerlo un buon segnale per il nostro sport. Ma questo è un altro discorso.

Oppure è lo stesso? Perché alla fin fine, ora che Murray ha concluso la sua corsa in testa, e ha scalzato Djokovic (un altro che certo non fa simpatia, per come gioca) approfittando di uno degli smottamenti più vistosi e impensabili che si siano mai verificati sulla vetta, ora che i due promettono di darsi ulteriormente battaglia nella nuova stagione, di che cosa si interessa davvero la gente (a’ ggente), sì, insomma, il gentile pubblico appassionato del nostro sport? Di altro… S’interessa dei ritorni, di quei tennisti che non ci sono, o non ci sono stati negli ultimi mesi, e che da gennaio ricompariranno come dal nulla. Eccolo il segno del nuovo anno che ormai bussa alla porta. L’anno del Buon Ritorno.

Quello di Nadal, che s’è fatto da parte avvilito da risultati che non merita e da un fisico che gli ha creato sin troppi problemi. Si dice convinto di avere ancora una o due stagioni competitive, si è allenato a lungo nella sua Accademia per ritrovare quel dritto che d’improvviso ha smesso di fare male agli avversari, ha cambiato (forzatamente) il look. Insomma, un nuovo Nadal, per il quale continuo a nutrire grande rispetto e grande simpatia. Uno che gioca un tennis lontano da quello cui mi sono sempre ispirato, ma che cerca sempre il punto, senza risparmio. Pallettaro lui? Mi viene da ridere…

Il ritorno della Sharapova, che dovrà aspettare fino a marzo, ma in questi mesi ha sempre trovato il modo di far parlare di sé. Mi incuriosisce questa rentrée, perché Maria nonostante il fisico e il suo arsenale di colpi non è mai stata dominante, dunque è possibile che il suo ritorno possa avvenire fra non pochi inciampi. Lei ha carattere, ma la sensazione è che dovrà tirarlo fuori tutto quanto.

Poi la Serena, sister Williams, scalzata dal vertice ma sempre “prima fra le pari” finché non ci sarà a sostituirla una giocatrice in grado di dare un senso di compiutezza al suo ruolo di numero uno, un senso di affidabilità completa, insomma, una che non potrà essere considerata una sorta di usurpatrice. La Kerber tedesca? Brava, davvero, ma non è in grado di vincere tutto, né di dare l’impressione di poterlo fare. La Muguruza che ho visto vincere a Parigi? Scatenata, con quei suoi gran colpi, ma si è fermata a Porte d’Auteuil. Le altre? Sono tante, a questo punto. Ci sarà battaglia, anzi, tante battaglie fra tante concorrenti. Mi chiedo però se non sia più affascinante la corsa di tutte le inseguitrici alla numero uno certificata.

E poi il ritorno di Federer, atteso con trasporto e commozione dalle sue truppe di sostenitori. Sei mesi fuori dal circuito, la voglia di rivederlo si sente nell’aria. Non sarà facile, anche se lui avrà una voglia matta di stupire. Non sarà una delle prime teste di serie, gli ostacoli raddoppieranno. Se davvero riuscisse a riproporsi fra i più forti sarebbe più di un miracolo sportivo. Glielo auguro di cuore, e lo confesso, manca anche a me.

C’è altro che mi incuriosisce. Butto lì, senza ordine di importanza… Si sarà risanato nella testa Djokovic? I suoi problemi sono lì. Le storie del guru Pepe Imaz, magari vere solo in parte, non sono state granché, diciamolo… E l’addio a Becker potrebbe rappresentare un problema.

Il ritorno di Ion Tiriac al ruolo di manager, dietro il giovane Pouille, che si è rivolto al migliore sulla piazza. Una fiducia ricambiata, evidentemente… Perché Ion conosce il tennis come pochi, e se ha detto di sì al francese è perché lo ritiene uno molto forte. E di solito, non sbaglia.

Dalla stessa categoria