Il mondo down-under / "I just can't get enough", australiani pazzi di Gavrilova. Sakkari, lo spirito di Sparta nel cuore

TENNIS – Dal nostro inviato a Melbourne Diego Barbiani

Nel 2015 già giocava gli Slam sotto la bandiera australiana, da fine dicembre ha preso il passaporto australiano, da questa sera Daria Gavrilova è ufficialmente una ‘aussie’. Al termine della partita vinta contro Petra Kvitova la ex russa, nell’intervista a bordo campo, si è commossa alla domanda sul cambio di nazionalità, mentre cercava di far uscire qualche parola dalla bocca.

La voce tremava ed il pubblico le trasmetteva tutto il proprio affetto con urla e standing ovation. “I just can’t get enough” cantavano anche alcune decine di tifosi australiani in un angolo della Margaret Court Arena, più le tante bandiere australiane al vento. E c’è da immaginarsi come mai Daria, dal primo momento in cui ha messo piede in Australia, ha deciso di voler cambiare nazionalità: un modo di comunicare emozioni che alla gente del posto, che adora vederla sbuffare e lamentarsi per tre doppi falli in un game, piace da matti, ricorda tantissimo Hewitt, il grande campione che oggi probabilmente è destinato all’ultimo match della carriera contro David Ferrer. E poi l’amore, perché non dimentichiamo che lei è fidanzata da anni con Luke Saville. Questa sera ha solo completato quello che le stava per riuscire a Wuhan al secondo turno, ed è un ottimo segnale per lei dopo un anno passato a battere tantissime tra le migliori.

Noi affrontiamo ragionamenti di dubbio gusto o interesse, loro semplicemente cantano “I just can’t have enough” e si coccolano la ventiduenne che ha voluto a tutti i costi il nuovo passaporto abbracciando idee, tradizioni, cultura e vita. Alla fine è una dichiarazione d’amore.

Un’altra che a Melbourne ha cominciato ad assaporare il profumo del grande tennis è Maria Sakkari. E’ la figlia di Angeliki Kannellopoulou, ex giocatrice nella top-50 a metà anni ottanta e capace di arrivare ai quarti alle Olimpiadi ed al terzo turno al Roland Garros. Se qualcuno ricorderà Elenii Danilidou, capace di battere pure Justine Henin a Wimbledon, sappia che lei è stata appena sopra proprio Kannellopoulou.

Storia molto personale, con la mamma che per dieci-undici anni voleva tenere nascosta alla figlia la sua carriera perché non voleva che cominciasse a vivere un’illusione ed il rischio del fallimento. Poi un giorno, al suo circolo tennis, ha sentito chiunque dire: “Ma quella è la figlia di Kannellopoulou!”. Incuriosita, ha scoperto tutto. Ora sua mamma è la miglior consigliera: «Lei capisce ogni minima situazione che vivo, non è facile, forse ancor di più se si è genitori. Io vedo tantissimi ragazzi a cui i genitori chiedono tanto e se perdono è un vero fallimento. Mia mamma invece mi ricorda sempre che devo divertirmi». In famiglia, pure il nonno è stato un giocatore e poi allenatore di tennis, ed è stato grazie a lui che si è avvicinata alla disciplina: “Avevo anche la fortuna di avere i campi molto vicini a casa, in più praticavo tanto sport. Facevo anche danza, ma mi hanno sbattuto fuori perché non ero molto brava, poi karate, ma lì ridevo sempre”.

Nel 2013 è partita per Barcellona, «ma non vuol dire che la terra rossa sia la mia superficie preferita». Maria è di Sparta, città storica dal fascino incredibile. In Grecia però torna ormai poco «dovendo privilegiare l’attività agonistica posso solo in determinati periodi». Da quando è in Spagna è salita da oltre il n.600 di due anni fa, ed in due anni è arrivata al n.135/133 del mondo. Ma se invece bisogna giudicarla in campo e fuori? «Incarno lo spirito spartano, dove si lotta fino all’ultimo secondo, corro su ogni palla, do tutto in campo. Fuori cambio totalmente aspetto e divento molto più simile ad una normale ragazza (ridendo, ndr)».

Ha scelto il posto giusto per bagnare il suo torneo con la prima vittoria Slam in carriera. A Melbourne, infatti, ci sono soprattutto greci tanto che viene considerata come la seconda città per numero di ellenici presenti all’interno. Niente di meglio invece per sentirsi a casa.

A ventuno anni, il ranking non deve rappresentare un problema, soprattutto se a causa delle difficoltà di spostarsi e crescere tennisticamente in Grecia l’ha spinta fino al 2013 ad una situazione complicata, facendo solo tornei in Grecia o nelle zone limitrofe. Agli US Open 2015, intanto, è diventata la prima greca a passare le qualificazioni in uno Slam dal 2002 e ieri contro Carla Suarez Navarro si è battuta in campo da vera ‘spartana’, lottando e confrontandosi alla pari contro una giocatrice attorno alle prime 10 del mondo da un anno. “Lei è una delle mie giocatrici preferite. Mi piace davvero tanto come gioca ed avere l’opportunità di affrontarla su un campo importante è stata una bellissima esperienza”. Aspettandone poi altre.

La giornata di ieri è stata caratterizzata anche dal record di Krystina Pliskova, che contro Monica Puig ha messo a segno 31 ace pur perdendo poi la partita 9-7 al terzo. Alla ceca, ovviamente, del record di servizi frega quasi nulla, “fosse per me, avrei preferito vincere giocandone 10-15 di meno. Non mi importa nulla che sia record o meno”. Però c’è un dettaglio: nel 1999, in Australia, Anna Kournikova vinse al secondo turno 1-6 6-4 10-8 contro Miho Saeki realizzando 31 doppi falli; nel 2016, in Australia, Krystina Pliskova ha perso 4-6 6-3 9-7 contro Monica Puig realizzando, appunto, 31 ace. Chi dice che bisogna essere ottimi servitori per vincere?

 

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