Nick Kyrgios, la nuova Australia non chiede il permesso

TENNIS – WIMBLEDON – DI ROSSANA CAPOBIANCO – La vittoria di Nick Kyrgios sul numero 1 Nadal potrebbe un giorno diventare partita di grande importanza simbolica. Andiamo a scoprire la nuova stella scoppiata in questi Championships riproponendo un articolo pubblicato sul numero di febbraio di Matchpoint Magazine, dove si parlava di lui e Thanasi Kokkinakis come delle nuove speranze della grande nobile decaduta Australia.

Lleyton Hewitt non molla, instancabile. A trentadue anni e diverse operazioni, continua a lottare in campo con la stessa passione di un ragazzino, a costo di rimetterci altre articolazioni e di perdere contro giocatori battibili. Sono passati dodici anni da quel dorato trofeo, quel Wimbledon passato nelle mani dell’australiano un po’ per merito suo ma soprattutto a causa di una provvisoria poltrona vacante, il trono di cui “Satanetto” si appropriò il tempo necessario di vincere qualcosa di importante prima del dominio svizzero e poco dopo il tramonto di Pete Sampras.

Da allora, una illustre nazione tennistica come quella australiana, le cui vecchie glorie sono raffigurate nelle statue all’entrata del complesso di Melbourne Park, tanto per ricordarti dove ti trovi e a chi apparteneva il tennis in un tempo ormai troppo lontano, non ha visto più la luce.

Sprofondati in un buio profondo dal quale Tomic non è riuscito a portarli fuori, lo sguardo di esperti e appassionati Down Under si è spostato su altri due giovani che fino allo scorso anno competevano nei tornei Juniores (salvo l’exploit di Kyrgios al Roland Garros, quando sconfisse Radek Stepanek piuttosto facilmente al primo turno) e oggi appaiono pronti a tuffarsi nel tennis professionistico.

Irrompono senza indugi, con la faccia tosta di chi ha deciso di farsi largo e le paranoie non sa nemmeno dove stanno di casa.
Thanasi Kokkinakis e Nick Kyrgios sono figli dell’immigrazione massiccia di greci in Australia: diciassette e diciotto anni, rispettivamente di Adelaide e Canberra, sono più che pronti. Sembra siano nati pronti. Wild card prevedibili agli Australian Open 2014, si sono issati fino al secondo turno, con molti rimpianti per Kyrgios, avanti di due set contro Benoit Paire; prova di maturità fallita per il più promettente dei due australiani per esplosività e mentalità.

Mentre Kokkinakis non ha potuto nulla contro Nadal ma ha mostrato qualità tennistiche di indubbio valore, il figlio di Canberra, il meno timido dei due, è parso il più adatto al tennis moderno, l’atleta per eccellenza.

Nick gioca a tennis solo da quattro anni: prima per lui c’era soprattutto il basket e ancora oggi pare abbia qualcosa di più di un debole per i Boston Celtics. In così poco tempo è riuscito a raggiungere risultati impressionanti; si nota qua e là una tecnica non esattamente affinata, ma il ragazzone di un metro e novantuno colpisce forte, fortissimo e ha nel rovescio e nel servizio i suoi colpi da KO. Attorno a lui ci sono molte aspettative e naturalmente una pressione smisurata: quella dell’attesa, della pretesa che sia un fenomeno, della fretta che si è fatto troppo tardi e si deve correre, che quelli lì davanti sono degli autentici mostri e gli scalini da fare sono tanti e faticosi.
Kyrgios ha un’ambizione illimitata, punta in alto, altissimo: «Amo stare là fuori e intrattenere gli spettatori. Non voglio solo giocare a tennis, voglio coinvolgere le persone. Credo di averlo fatto dall’inizio alla fine del mio match contro Paire, devi arrivare a quel punto in cui non riesci nemmeno a contenere l’emozione. Una volta arrivato a quel punto, credo arriveranno grandi cose».

Le spalle sono larghe e non crede che i suoi connazionali pretendano troppo: «Il pubblico vuole solo amarti, non è così faticoso giocare e farli felici, fare del tuo meglio perché avvenga».

Padre greco e madre malese, si sente più australiano che mai; al collo porta tre collane con tre diversi ciondoli: una croce, una racchetta (regalo di mamma) e una giada, donatagli dal suo papà come portafortuna.

Attorno a lui si stanno muovendo anche diversi sponsor, ma quello a cui punta l’entourage di Kyrgios è creare, in un futuro prossimo ma non troppo, un marchio personalizzato, come nel caso di Federer, Nadal, Sharapova. «La Nike potrebbe essere interessata a questo, ma dobbiamo valutare bene», spiega il suo manager, John Morris.

Kyrgios e Kokkinakis lo scorso anno hanno vinto il trofeo in doppio juniores a Wimbledon e sembrano essere molto amici: «Ci spingiamo l’un l’altro fino al limite e se continueremo a farlo e a fare bene nei tornei dello Slam, possiamo raggiungere qualcosa di importante».

Kokkinakis ha la faccia di uno dei One Direction (boy band del momento, ndr), è meno espansivo e nella off-season si è preparato negli Stati Uniti insieme a Sam Querrey. E’ l’idolo delle ragazzine che si sprecano in collage con il suo ciuffo in bella mostra sui social network e i cuoricini tipici da idolatria adolescenziale.

Lui gioca a tennis dall’età di otto anni e il suo idolo è Monfils, “perché è divertente, il più divertente di tutti, ma sono cresciuto con il mito di Marat Safin e della sua potenza”.
Contro Nadal ha mostrato un raro coraggio pur perdendo nettamente in tre set e ha ammesso: «E’ un atleta bestiale, so di avere ancora molta strada da fare per raggiungere quei livelli di atletismo e resistenza». Ma i chiari obiettivi del diciassettenne australiano ora non possono comprendere la presunzione di poter battere uno come Rafa; sono i Sijsling e i giocatori simili che vanno sconfitti per acquisire esperienza e guadagnare punti e posizioni in classifica; proprio questo gli si chiedeva e Thanasi non ha deluso, avanzando al secondo turno dello Slam di casa proprio grazie alla vittoria sull’olandese. E’ stato il fratello a condurlo al tennis, dopo averne osservato il talento durante casuali lezioni di tennis, loro così appassionati di basket e dei L.A. Clippers.

Nemmeno lui è uno che nasconde le ambizioni: «Il mio obiettivo è diventare numero uno del mondo, vincere la Coppa Davis e gli Slam». Roba da poco, insomma, è uno che si accontenta.

Sia lui che l’amico Kyrgios sono due perfetti prototipi del tennista moderno; forti, alti, bimani e con un grande servizio: l’omologazione è servita?
Non esattamente, ma certo dati i materiali e i ritmi di oggi, da queste caratteristiche non si può proprio prescindere e il fatto curioso ma positivo è che entrambi ne sono perfettamente consci, mostrando una maturità e una consapevolezza rare per essere due adolescenti.

A differenza di Tomic sono circondati da entourage più seri e meno discussi di quello di Bernard e sebbene siano ancora ragazzini a cui piace la musica hip hop e una sana spensieratezza, conducono una vita da professionisti.

Il passaggio dal circuito juniores a quello maggiore, si sa, costituisce un momento decisivo per ogni tennista: molti, troppi si sono persi per strada e non è per nulla scontato che i due trovino invece facilmente il percorso giusto. Possono volerci mesi, anni, cambiamenti e accorgimenti e soprattutto non devono esserci gravi infortuni: la sensazione è che non sosteranno ancora per molto tra i coetanei, ma tennisti come Dimitrov e Raonic mostrano quanto la strada sia tortuosa e che lo step ultimo da fare richieda tantissi
mo tempo.

Un quotidiano australiano durante le due settimane degli Open affermava che “L’Australia ama i lottatori tanto quanto i vincitori”.

Se Nicholas Hilmy Kyrgios e Thanasi Kokkinakis mostreranno di essere entrambe le cose, forse un giorno potranno sognare di essere ritratti lì, alla destra della Rod Laver Arena, tra Lew Hoad e Margaret Court, tra le leggende di una nazione che sta investendo l’impossibile per tornare alla gloria che le compete.

Dalla stessa categoria