US Open: c’è (sempre) aria di derby azzurro

Dal nostro inviato a New York

(D.A.) Argomento delicato, il derby, come si è visto in questi giorni. Vale doppio, il problema è questo. E costa il doppio, quanto meno per le energie che se ne vanno, insalutate ospiti. Quelle del corpo e quelle della testa. L’ultimo, fra le nostre, è stato a Cincinnati, fra Vinci ed Errani. Finito a brutto muso, come ammettono loro stesse. Forse perché veniva a distanza ravvicinata da quello di Palermo, vittoria della Vinci, anche lì come negli Stati Uniti. Le prime due della loro “fraterna” rivalità. Il prossimo trova spazio agli Us Open, oggi, primo incontro sul Centrale, dunque destinato a suscitare interesse persino negli appassionati di qui, vista la particolarità.

Da una parte Sara Errani, la prima italiana a issare lo stendardo della quarta testa di serie in uno Slam (grazie anche al ritiro della Sharapova, d’accordo, ma che importa?), semifinalista un anno fa, conosciuta per essere una “ragazza perseverante”, come la definiscono le cronache tennistiche di questi giorni. Non è un diminutivo, sapete. Non lo è affatto. Ad honorem la “ragazza perseverante” è Monica Seles, l’ultima a entrare nella ristretta Hall Of Fame dei campioni di Flushing Meadows, in perenne esposizione con foto e menzione speciale all’ingresso dell’impianto. L’altra è invece Flavia Pennetta, che alla semifinale giunse a un passo, due anni fa, battuta dalla Kerber in uno di quei (non pochi) match imperdibili che lei ha invece gettato al vento. La conoscono bene, gli americani, la Flavia. Per la lunga militanza nel circuito, sono dodici anni oramai, e per una finale di doppio giocata fianco alla Dementieva, qualche anno fa.

«Me la gioco, come sempre», dice la Penna, all’apparenza rilassata. «Questo è il momento di Sara, dunque è lei la favorita, e forse anche quella che sentirà un po’ di più la pressione del match». Sara risponde così: «La tensione c’è, ci sarà, ma è normale e ci sono abituata. Flavia per me è stata importante, perché osservandola e frequentandola mi ha insegnato molte cose. Come la Schiavone, del resto. Oggi si sta riprendendo da un lungo stop, non ha più la classifica di prima, ma sa come giocare contro di me, e mi creerà di sicuro dei problemi».

Sui derby, in fondo, si fonda un pezzetto di storia del nostro tennis al femminile. Non c’è azzurra, fra le più forti, cui sia stata risparmiata la spremitura che un confronto casalingo inevitabilmente provoca. Limitandosi a esplorare le finali del circuito maggiore, sono stati già nove gli incontri ravvicinati del terzo tipo. È toccato alla Cecchini e alla Reggi, negli anni Ottanta, poi alla Farina (battuta, ahilei, dalla Piccolini a San Marino), e dopo alla Schiavone, alla Pennetta e ovviamente alla Vinci e alla Errani. Il super derby, però, prese forma un anno fa, proprio agli Us Open, nei quarti. Ancora Sara e Roberta di fronte, ma in condizioni diverse da quelle che hanno condotto la Vinci ad aggiudicarsi le ultime due prove. Un anno fa era Sara a dominare, nella coppia, e Roberta dovette accettare l’ennesima sconfitta. In semifinale andò la Errani, costretta a misurarsi con una Serena Williams che la costrinse a fare scena muta. Fra Errani e Pennetta, invece, ben due finali, quella del 2009 a Palermo, la prima, comodamente governata da Flavia, poi quella del 2012 ad Acapulco, nella quale la Errani riuscì a conficcare le sue unghiettine rapaci, lasciando a zero la Pennetta nel terzo set.

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